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 2020  gennaio 12 Domenica calendario

Ecco il TripAdvisor delle mense scolastiche

La crocchetta di totano e ammoniaca non l’ha digerita facile. E’ così che è iniziata la crociata di Claudia Paltrinieri, paladina del cibo buono e sano nelle mense scolastiche italiane che, evviva, vantano anche delle super eccellenze: a Cremona, per esempio, gli studenti certi giorni possono scegliere tra il risotto alle castagne e salvia o la pasta ai pistacchi. Purtroppo però non sono tutti così fortunati. La call to action di Paltrinieri inizia nel 2009 con uno di quei compiti che quasi ogni genitore cerca di scansare: commissione mensa nella scuola elementare, in centro a Milano, frequentata da due delle sue figlie. «Mi occupavo di tutt’altro e ho accettato l’incarico perché qualcuno doveva pur farlo. Ma ero positiva. Poi assaggio questa crocchetta che odora e sa di ammoniaca. Dico a mia figlia di non mangiarle assolutamente. Ma mi rendo conto che voglio dirlo anche a tutti gli altri bambini». 

L’indagine
Giorno dopo giorno Claudia Paltrinieri si inventa Foodinsider, il TripAdvisor riconosciuto delle mense scolastiche italiane, che oggi dirige e che le ha ispirato anche un libro, "Mangiare a scuola" (in uscita per Franco Angeli). «Quello che abbiamo fatto è stato comporre un questionario che misura, tenendo conto dei parametri dell’Organizzazione mondiale della sanità, la bontà in senso vero di un menu scolastico. Ognuno può scaricarlo e calcolare il punteggio della propria scuola». La palma d’oro delle mense scolastiche va a Fano, che da anni lavora sulla formazione anche dei genitori con corsi di cucina per le famiglie, e a Cremona, tra i primi, già nel 2007, a prestare attenzione all’educazione alimentare dei baby palati oltre alla qualità del cibo, introducendo ingredienti considerati poco "da bambini", ma in realtà apprezzatissimi, come l’insalata di germogli. Anche Bergamo ha un modello interessante. Una mensa solidale i cui fornitori sono cooperative di prodotti biologici che danno lavoro ai carcerati. In più, quasi ogni scuola ha il suo orto personale. Promossa anche Trento, dove c’è uno dei pochi menu con frutta prima del pranzo e che prevede sempre due contorni, uno crudo e uno cotto, oltre a un’altissima percentuale di biologico e di prodotti del territorio. 

I cibi peggiori
A Perugia, altra eccellenza, sono i genitori stessi che decidono chi devono essere i fornitori, a Roma le mamme raccontano del pane con la muffa e di altro cibo avariato. A Pescara è andata anche peggio, con 200 bambini intossicati da una partita di caciotte contaminate. «Le migliori mense sono quelle in cui il Comune non delega tutto a un ente esterno e dove la cucina è ancora dentro, che vuol dire cibi più freschi. Invece, dove ci sia affida a realtà industriali, come a Milano, gli alimenti sono precotti al mattino, ore prima di essere consumati e nella conservazione al caldo perdono fino al 70% di antiossidanti, vitamine e potere nutrizionale. In questi casi si segue una logica che è solo quella di tagliare i costi. Diciamo che manca una visione: educare il gusto dei bambini, invece, è un investimento. La mensa non è un servizio fine a se stesso per riempire loro la pancia ma anche uno strumento formativo, oltre che sociale ed economico. Meglio se lavorando in simbiosi con il territorio e con i produttori locali, come ha fatto la regione Marche con il progetto Pappa Fish, per promuovere il consumo del pesce dell’Adriatico». E non è detto che l’eccellenza sia più facile in comuni piccoli, perché fino al 2015 quella di Roma è stata considerata una delle mense migliori del mondo, con controlli efficientissimi, tanto che non ci sono stati mai problemi igienici tra i bambini su 155mila pasti serviti al giorno. Poi le dietiste assunte dal Comune sono andate in pensione e mai più sostituite. 
I rischi
Sulle mense peggiori d’Italia Paltrinieri glissa. «Sono quelle che hanno più cibo processato e più carne. Verona, per esempio, lo scorso anno su 20 pasti ne serviva 15 di carne, di cui 9 rossa. Ormai lo sappiamo tutti che mangiare carne non fa bene alla salute né alla sostenibilità ambientale. E poi c’è l’ossessione per i salumi, che sono facili da proporre. A Piacenza, per esempio, li amano molto anche per fattori culturali. Ma fa gioco anche alle aziende di ristorazione perché il costo così è minimo, anche se le indicazioni alimentari dell’Oms non vanno certo in questo senso». Poi ci sono i gusti dei bambini, che dovrebbero ricevere un’educazione alimentazione seria, a scuola come a casa. «Se si mangia bene, pure la vellutata di zucca può diventare appetitosa, invece spesso i nostri figli amano la pasta in bianco. Il bianco rassicura. Ma quando è quello il loro piatto preferito, allora c’è da fare attenzione: non è mai un buon segnale».