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 2020  gennaio 12 Domenica calendario

Intervista a Neri Marcoré

La sua parodia del premier Giuseppe Conte amministratore di condominio continua a dominare sul web: «Il geometra Salvini deve 49 milioni di mensilità, provoca sgocciolamenti stendendo in balcone le sue cento felpe». Segna assente il condomino Zingaretti («Ah c’è? Non l’avevo visto») e sottolinea che la condomina Meloni vuole sia messo a verbale che è «donna, madre e cristiana». Con un colpo da vero maestro, Neri Marcorè spopola a Stati generali di Serena Dandini, su Rai 3 (giovedì l’ultima puntata, poi la settimana successiva andrà in onda "il meglio di") con un’imitazione perfetta. «Ma non è stato un colpo di fulmine, come per Alberto Angela» spiega sorridendo. «Conte è nato per caso, poi l’ho perfezionato».
Cinquantatré anni, attore, doppiatore, conduttore, imitatore, comico e cantante, Marcorè non si fa incasellare e gli piace così. Mercoledì debutta a Roma al Teatro Brancaccio (e poi in tour) con Tango del calcio di rigore di Giorgio Gallione (è in scena con Ugo Dighero e Rosanna Naddeo), ambientato durante i campionati del ’78 in Argentina; sullo sfondo dei Mondiali morte, tortura, il dramma dei desaparecidos, il doping e la corruzione.
Marcorè, il suo Conte ha conquistato tutti: si aspettava tanto successo?
«Mi fa piacere. L’approccio con il programma di Serena è stato sorprendente anche per me. Erano sette anni che non facevo imitazioni, quando mi ha chiesto se volevo partecipare non avevo personaggi pronti. Ho tirato fuori varie idee, tra queste c’era Conte.
Inizialmente era diverso, il governo non era caduto, lui era seduto al bar. La chiave era un’altra e non mi sembrava che la voce fosse fondamentale. Mi ero ispirato a Dudù e Cocò di Montesano».
Quindi era un po’ gagà.
«Esattamente. Poi passata l’estate, l’ho visto come un piazzista: vendeva cose, faceva l’arrotino. Poco tempo prima del debutto ho pensato che la chiave potesse essere quella dell’amministratore di condominio, considerando il Parlamento un’assemblea con la gente che litiga. La sua figura era diventata quella del garante della correttezza».
Cosa l’ha fulminata?
«Non c’è stata una folgorazione come per Alberto Angela, nato in un pomeriggio dopo aver visto la trasmissione. Per Conte c’è stata un’elaborazione più lunga, dallo studio della voce. Quando il testo era pronto ho dato un’occhiata a qualche suo discorso. Il trucco è fondamentale. Quattro ore, grazie a Maurizio Minchilli, un mago, lavora con Serena dai tempi di Avanzi , e alla parrucchiera Daniela Ragone».
Non faceva satira da sette anni, ma il suo Maurizio Gasparri è rimasto nella storia della tv. Si diverte ancora?
«È stato un ritorno alle radici. Con Serena abbiamo meccanismi
rodati, ci basta uno sguardo. Programmi come Stati generali non si facevano da tempo. Il successo è dovuto anche alla formula corale, con comici diversi».
Però è cambiato tutto, anche la politica. La satira è più difficile?
«Molto più difficile perché i politici sono scesi sul terreno di una comunicazione diretta con gli elettori, a volte così frivola e inutile che crea affezione. Ma lascia rimpiangere quella politica che faceva anche malefatte peggiori nella quale però ognuno aveva un ruolo da cui non scartava. Sono fiero del mio Andreotti che nello show si muove "come se ci fossero stati i social". Se ai tempi di quella Dc ci fossero stati i social, il partito avrebbe giudicato certe azioni una caduta di stile?».
Bella domanda. Invece Conte come l’ha presa?
«Ho letto che ha apprezzato l’imitazione, ma non l’ho mai incrociato. L’obiettivo non è farsi apprezzare dai bersagli della satira, ma se una persona è spiritosa e ride mi sembra un buon segno».
Attore, cantante, conduttore: perché non ha mai veramente scelto?
«Mi piace cambiare. È ovvio che questa trasversalità nuoce all’essere identificato in un settore: non sono il primo attore che viene in mente tra i protagonisti di cinema e fiction né il primo nome se si parla di cantanti. L’eclettismo fa parte del mio modo di concepire l’arte, usando un parolone. Ho sempre seguito le mie passioni, la curiosità mi porta a misurarmi».
Dopo il debutto a Ancona, mercoledì sarà in scena a Roma con "Tango del calcio di rigore".
«È uno spettacolo che attraverso il calcio illumina zone buie degli ultimi decenni e spiega come grazie al pallone, oppio dei popoli, gli Stati possano controllare menti e cuori di milioni di persone. Il calcio diventa foglia di fico, parliamo della dittatura, raccontiamo il Cile di Pinochet. Ai Mondiali in Argentina tanta stampa internazionale fu allontanata perché faceva domande scomode, come è successo a Gianni Minà».
Nel 1978 lei era un bambino.
«Milioni di ragazzini come me vedevano le partite, sognavano con i campioni ma dietro c’erano gli urli strazianti dei torturati, le famiglie dei desaparecidos che chiedevano la verità. Alla finale all’Estadio Monumental di Buenos Aires l’Argentina deve vincere a tutti i costi contro l’Olanda. In tribuna c’è il generale Videla, a tre posti di distanza c’è Licio Gelli, "Maestro venerabile" della P2, suo amico».
Come sono le reazioni in teatro?
«Le emozioni forti, con il calcio che fa da sfondo, arrivano tutte. C’è un momento in cui Rosanna Naddeo interpreta una donna a cui hanno tolto tre figli. Mentre io recito Neruda; la poesia s’intreccia all’orrore».