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 2020  gennaio 12 Domenica calendario

Appalti, tre ricorsi al giorno

Mancava la firma “in calce”. Intendiamoci, la firma c’era, soltanto che era sul frontespizio dell’offerta. Tutto per giunta in busta chiusa, elaborati compresi. Ma tanto è bastato perché l’impresa che aveva perso la gara per la manutenzione della Casa dello studente di Perugia, un appalto da oltre 8 milioni, facesse ricorso al Tar. E poi, sconfitta dal buonsenso in primo grado, ricorresse in appello al Consiglio di Stato lamentando che i giudici di primo grado avrebbero «omesso di considerare che, se è vero che la giurisprudenza ormai non prevede più l’obbligo di sottoscrivere tutte le pagine dell’offerta, ciò nonostante prevede l’obbligo della sottoscrizione, per tale dovendosi intendere almeno la firma in calce». Ricorso, ovviamente, respinto. E respinto anche quello dell’impresa battuta alla gara del Comune di Caserta per la sistemazione di una caserma (opera da 4,8 milioni) che chiedeva l’esclusione del concorrente aggiudicatario per «mancata sottoscrizione in calce» dell’analisi giustificativa dei prezzi di lavori non previsti nei listini ufficiali. Stesso destino subito dal ricorso della ditta soccombente alla licitazione per la copertura del Palazzo civico di Cagliari. Così ostinata nella pretesa di far escludere il vincitore per la mancanza di una firma “in calce” da fare addirittura ricorso al Consiglio di Stato per la revoca della sentenza dello stesso Consiglio di stato.
Ecco che cosa succede, e con una frequenza sempre più impressionante. Chi perde una gara d’appalto o per una fornitura pubblica fa subito ricorso: non per la sostanza o il merito, bensì per formalismi spesso al limite della comicità. Sperando così di mettere fuori gioco l’avversario. La firma che manca “in calce” o su tutti i fogli dell’offerta, anche se poi la firma c’è da qualche altra parte, è ormai un classico. E ci sarebbe quasi da sorridere se non fosse per ciò che sottintende il fenomeno e per le sue conseguenze.
I numeri, innanzitutto. C’è chi ha fatto i conti scoprendo che nei primi dieci mesi del 2019 e solo al Consiglio di Stato, dove si giudicano in appello le cause discusse ai Tribunali amministrativi regionali, sono stati presentati 907 ricorsi su appalti e contratti pubblici. A un ritmo di tre al giorno. Ed è un fatto senza precedenti. La sola quinta sezione presieduta da Giuseppe Severini, competente sui ricorsi riguardanti gare per forniture e servizi pubblici, se n’è vista recapitare 602, dei quali ben 408 sugli appalti dei servizi di enti locali. Le scuole sono la materia più contesa: 63 cause. Seguono i rifiuti (46) e la riscossione dei tributi (41).
Il moltiplicarsi esasperato di litigiosità con motivazioni del genere può essere considerato un segnale di crescente allergia alla concorrenza che si sta diffondendo nel mondo delle imprese che hanno a che fare con la pubblica amministrazione. Una specie di riflesso condizionato che scatta automaticamente dopo ogni gara perduta, qualunque sia la situazione. Non c’è da stupirsi che ormai molte società impegnate negli appalti pubblici abbiano a libro paga più legali che ingegneri, progettisti o tecnici esperti. Certo, c’è da sospettare che la ricerca del pelo nell’uovo sia in qualche modo anche l’effetto della cultura che ha imbevuto ormai fino al midollo la nostra burocrazia. Immersa in tale profondità nei formalismi da aver spostato su procedure, cavilli e timbri il terreno di confronto con la società reale e quindi con le imprese. Che quindi, avendo fatto di necessità virtù, si sentono autorizzate a utilizzare gli stessi codici. Incuranti però delle conseguenze che può avere il dilagare del ricorso a tutti i costi. A cominciare dall’intasamento della macchina della giustizia amministrativa.Dicono tutto i dati sui ricorsi effettivamente discussi. Soltanto quelli relativi ad appalti e contratti pubblici cono stati 1.038, il 40 per cento del totale delle 2.623 cause dibattute nei primi dieci mesi del 2019 al Consiglio di Stato. Il giovedì a Palazzo Spada è ormai consueto veder piovere sul tavolo delle udienze anche un centinaio di dossier. Avete letto bene: proprio un centinaio.