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 2020  gennaio 12 Domenica calendario

I 7 giorni che hanno cambiato l’Iran

La sorprendente decisione dell’Iran di ammettere la responsabilità nel disastro del volo ucraino chiude una settimana iniziata con il lutto per l’uccisione di un generale iraniano e finita con la perdita di 176 vite innocenti.

I funerali
Lunedì 6 gennaio Teheran è tappezzata di bandiere nere per il secondo dei tre giorni di lutto stabiliti per commemorare il generale Soleimani, capo della divisione Al Quds dei Guardiani della rivoluzione, ucciso in un raid americano in Iraq. Nella capitale milioni di persone sono scese in strada per i funerali all’università di Teheran, una partecipazione paragonata (e forse addirittura superiore) ai funerali dell’imam Khomeini, fondatore della Repubblica Islamica. Zeinab Soleimani, la figlia di quello che ora è considerato un martire, promette giorni bui per gli Stati Uniti e Israele. La Guida Suprema annuncia una «vendetta severa» contro gli Stati Uniti, dove Trump ribadisce via Twitter di essere pronto a rispondere anche in maniera sproporzionata e a bombardare 52 siti culturali, se gli americani verranno colpiti. 
Il giorno dopo il feretro del generale viene portato nella città di Kerman, nel Sud, vicino al suo villaggio natio tra le montagne. La stessa emotività e l’orgoglio nazionale che hanno portato la gente in piazza rafforzando il regime finiscono con l’uccidere 56 persone, schiacciate dalla folla in processione. Altre 213 rimangono ferite, la sepoltura viene rimandata. Gli Stati Uniti negano al ministro degli Esteri iraniano Mohammad Javad Zarif il visto per recarsi al Consiglio di sicurezza dell’Onu per parlare della crisi, violando un accordo che regola l’accesso dei diplomatici al quartier generale delle Nazioni Unite. Zarif spiega che non c’è bisogno di andare a New York per «dire la verità» all’opinione pubblica americana, e concede interviste alle tv Cnn e Cbs. Sempre martedì, il New York Timespubblica la notizia, riferita da funzionari iraniani anonimi, che la Guida Suprema ha chiesto una risposta pubblica e proporzionale per l’uccisione di Soleimani. 

La vendetta
All’1.20 di mercoledì mattina, scatta l’ora della vendetta. L’operazione si chiama «Martire Soleimani». L’Iran rivendica un doppio attacco con missili balistici contro due basi irachene che ospitano truppe americane. L’ora non è casuale: coincide con il momento dell’uccisione di Soleimani che, alle 2 del mattino, viene seppellito. I Guardiani della Rivoluzione lanciano quattro avvertimenti con una dichiarazione ufficiale: 1) se l’America risponde, ci sarà un attacco assai peggiore; 2) se gli alleati Usa nella regione lasciano che le loro basi vengano usate per attaccare l’Iran, verranno colpiti; 3) Israele è un obiettivo; 4) invitano il popolo americano a richiamare i soldati, per evitare la perdita di vite umane. Sul loro canale su Telegram aggiungono la minaccia più dura: colpiranno Haifa in Israele e Dubai negli Emirati con una terza offensiva, se il territorio iraniano venisse bombardato. 
Poche ore dopo, alle 6.17 del mattino, un aereo della Ukraine Airlines precipita non appena decollato dall’aeroporto Imam Khomeini di Teheran. In tv le immagini della Guida Suprema, che promette che l’America verrà cacciata dalla regione, si alternano a quelle della tragedia aerea in cui hanno perso la vita 176 persone. I ministri del governo assicurano ai giornalisti che, se Trump non risponderà, la rappresaglia per l’uccisione di Soleimani può considerarsi conclusa. La risposta americana arriva in serata: non ci sono stati morti americani (l’Iran aveva preavvertito gli iracheni), e dunque si arriva a una tregua militare, ma Trump annuncia anche nuove sanzioni. La Casa Bianca mira a smantellare completamente l’accordo sul nucleare. Il giorno dopo, giovedì 9 gennaio, l’ambasciatore Usa all’Onu invita l’Iran a trattare senza precondizioni per un nuovo accordo, ma l’Iran – che per tutta risposta non si ritiene più vincolato dai limiti sull’arricchimento dell’uranio – afferma che rispetterà gli impegni solo se l’America farà altrettanto. Tuttavia, Teheran sottolinea di non considerare «morto» il Jcpoa. 

176 vittime collaterali
L’abbattimento dell’aereo ucraino complica la crisi giovedì, quando il Canada afferma che è probabile che il velivolo sia stato abbattuto per errore da un missile terra-aria iraniano. Trump all’inizio è più cauto di Trudeau. Teheran rifiuta di consegnare le scatole nere. Il capo dell’aviazione civile iraniana Ali Abezadeh si dice «certo» che non sia stato un missile. Venerdì anche il Segretario di Stato Usa Mike Pompeo, l’Australia, il Regno Unito e la Nato sposano la teoria dell’incidente missilistico. Mentre i Guardiani della Rivoluzione sostengono che dietro l’incidente c’è un complotto dell’intelligence americana, l’Iran apre le porte agli investigatori ucraini, ai quali viene dato accesso alle scatole nere, ai resti dell’aereo rimossi dal sito dell’impatto e alle registrazioni della torre di controllo; e vengono invitati a partecipare alle indagini anche gli esperti di tutti i Paesi di provenienza delle vittime, di Boeing, del produttore del motore, e dell’agenzia Usa per le indagini sugli incidenti aerei (che riceve il permesso nonostante le sanzioni). All’inizio gli iraniani dicono che per l’inchiesta potrebbe volerci più di un anno. Ma nella notte l’agenzia iraniana Fars annuncia: sabato mattina, dopo una riunione congiunta con le parti internazionali, l’Iran rivelerà la causa dello schianto dell’aereo. L’Iran ha abbattuto per errore l’aereo ucraino, nelle ore successive al lancio di missili contro le basi irachene.