la Repubblica, 11 gennaio 2020
2019, fuga dai Tg di Viale Mazzini
Anno 2019, la grande fuga dai Tg Rai. Se fosse un film sarebbe questo il titolo in grado di raccontare la stagione più nera dell’informazione pubblica. Con picchi negativi d’ascolto che, nell’edizione serale dell’ultimo trimestre, superano addirittura il 10 per cento. Segno che la cura sovranista imposta dai gialloverdi alla tv di Stato, i cui assetti sono rimasti invariati a dispetto del cambio di governo, non ha nuociuto solo allo share delle reti: ha innescato una progressiva erosione di spettatori sintonizzati sui tre notiziari principali, a tutto vantaggio della concorrenza.
Secondo i dati elaborati dallo Studio Frasi sull’anno Auditel che va dal 30 dicembre 2018 al 28 dicembre 2019, il Tg1 delle 20 diretto da Giuseppe Carboni – pur mantenendo il primato con il 22,8% di share – ha perso il 3,63% della propria quota d’ascolto, che in valori assoluti (cioè il numero dei telespettatori) equivale a 241mila persone in meno rispetto all’anno precedente. E assai peggio è riuscito a fare il Tg2 delle 20,30 guidato dal filoleghista Gennaro Sangiuliano, che ha praticamente dimezzato il suo share: il 7,10% registrato nel 2019 è frutto dell’addio di quasi 167mila abbonati (-7,19 della propria quota d’ascolto rispetto al 2018). Resta invece stabile il Tg3 firmato da Giuseppina Paterniti: è fuggito solo l’1,06% (su uno share del 10,87), pari a 24.734 spettatori. A goderne sono Mediaset e, in misura minore, La7: il Tg5 delle 20 guadagna il 3,65 (+77mila unità), Studio Aperto delle 18,30 addirittura il 6,55% (quasi 25mila spettatori in più). Indietro resta Enrico Mentana, che cresce solo dell’1,63 (circa 7mila persone), comunque un buon risultato alla luce di uno share complessivo da sempre piuttosto basso (5,60%).
«La discesa degli ascolti, costante per tutto l’anno, testimonia un preoccupante calo di credibilità dei telegiornali Rai», commenta il professor Francesco Siliato, uno dei massimi esperti in materia di Auditel e anima dello Studio Frasi. «Chi era abituato a guardare il Tg1 o il Tg2 perché sicuro di ricevere – specie sul primo canale – un’informazione istituzionale, ora non lo fa più o la fa molto meno a causa di un cambio di format sempre più Salvini-centrico. Ormai qualunque cosa dica il leader della Lega diventa notizia: una perdita di imparzialità che fa male ai notiziari del servizio pubblico». Non esattamente un’impressione, dal momento che – dopo averlo denunciato per un anno intero, richiamando quasi tutti i network a un maggiore rispetto del pluralismo – l’AgCom ha aperto un’istruttoria sull’onnipresenza in tv dell’ex vicepremier, in grado di monopolizzare talk e Tg, pubblici e privati anche adesso che sta all’opposizione.
Un’anomalia che ha indispettito, in particolare, gli utenti dell’emittente di Stato. I quali, pagando il canone, pretendono un servizio meno sbilanciato sulla propaganda e più in sintonia con gli equilibri istituzionali. Prova ne sia il crollo degli ascolti registrati dal Tg2, la più sovranista fra le testate Rai, dacché Salvini non è più al governo: nella prima parte della stagione 2019-2020 che inizia il 15 settembre, ovvero con l’avvio dei palinsesti invernali, il notiziario delle 20,30 ha perso il 10,76% di share e ben 583.285 contatti rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.
Significa che oltre mezzo milione di persone ha deciso di non guardarlo più, neanche per un minuto. Un esodo. Che invece Tg1 e Tg3, pur peggiorati rispetto alla prima frazione del 2019, riescono a contenere: il primo cala del 4%, l’altro del 4,59 (anche se i contatti, cioè gli abbonati che si sintonizzano sull’edizione serale pur senza fermarsi sino alla fine, sono in lieve crescita). Invece il Tg5 di contatti ne guadagna più di 110mila. «È difficile sostenere che l’abbandono non sia dovuto alla credibilità dei Tg Rai, apparendo improbabile che gli ascoltatori abbiano improvvisamente smesso di cercare informazioni», conclude Siliato. Una Caporetto totalmente riconducibile al governo sovranista: perduto nel Paese, ma ancora al potere in Rai.