Tuttolibri, 11 gennaio 2020
L’Haçienda, la discoteca che fece la storia
C’è stato un tempo, breve ma intenso, in cui Manchester era, per chiunque fosse appassionato di musica, sinonimo di un club: l’Haçienda. Uno di quei luoghi leggendari diventati simbolo di una generazione di un’epoca, alla pari dello Studio 54 a New York, di Les Bains Douches a Parigi o del Tresor a Berlino, tanto che nel 1990 Newsweek scrisse che si trattava del club più famoso dell’intero Pianeta. E ci voleva uno come Peter Hook, già bassista con i Joy Division e con i New Order, due tra le band più importanti della fine del Novecento, per raccontare con il suo Haçienda – Come non si gestisce un club la storia di questo locale che era molto più che un locale, portato sullo schermo nel film di Michael Winterbottom 24 Hours Party People, dedicato nel 2002 alla comunità che ruotava intorno all’idea di due veri visionari, il discografico Tony Wilson della Factory Records e il suo socio Rob Gretton.
La storia, per chi non la conoscesse, prende il via nel 1982, quando i fratelli Gallagher con i loro Oasis sono ancora di là da venire e Manchester è forse la città che più di ogni altra in Inghilterra incarna lo stereotipo della grigia città fabbrica: un tessuto urbano decadente, incrocio tra uno scenario alla Dickens e un incubo ballardiano. Due anni prima il cantante dei Joy Division Ian Curtis si era suicidato, e gli altri membri del gruppo avevano dato vita ai New Order. Quando si decide di dare vita al club, l’intento è quello di dare ai giovani di Manchester un luogo nel quale ballare ma anche dare sfogo alle loro pulsioni creative, sull’esempio di posti già mitici come il Danceteria o il Paradise Garage a New York. Ma per i primi sei anni l’Haçienda resta un posto noto solo a chi vive nella città fabbrica, ambiziosamente aperto tutte le sere ma non di rado tragicamente vuoto. Peter Hook fa parte del gruppo di lavoro e di (utopico) svago, convinto che si possa gestire un club mettendo in primo piano le proprie scelte artistiche e musicali e che come sostiene Tony Wilson quel posto possa diventare una sorta di versione tridimensionale della Factory Records.
Ma la cura maniacale dei dettagli, la libertà nelle scelte architettoniche – bar grande, bar piccolo, cibo, palco, pista da ballo, balconata, cocktail bar – fa sì che da un budget di spesa iniziale in cui si prevede di dover stanziare 70.000 Sterline si passi a un costo reale di 340.000, l’equivalente di tre milioni di oggi: roba da nababbi, insomma, più che da idealisti. Di queste 340.000, ben 100.000 sono frutto dei proventi dei dischi dei New Order, che di conseguenza vivono con 20 Sterline alla settimana, mentre il resto arriva dalle casse della Factory Records e dalla Whitebread Breweries, la ditta fornitrice di birra che contribuisce alla gestione del pub. Intanto gli interni del club vengono ristrutturati, la balconata adeguata alle norme antincendio, l’impianto di illuminazione modificato in modo da servire sia il palco per i concerti dal vivo sia la pista da ballo. Le spese lievitano in modo imprevisto e incontrollabile, inevitabilmente tra i soci cominciano i primi contrasti, segnati da liti che a un tratto diventano furiose, mentre Tony Wilson continua a staccare assegni per coprire un buco che giorno dopo giorno diventa una voragine.
Poi però arriva l’estate del 1988, la cosiddetta Summer of Love. È la stagione dell’acid house, il nuovo genere musicale che presto contagerà il mondo, da Ibiza a Miami passando per Riccione, e dell’ecstasy, la nuova sostanza poi diventata il titolo di un’opera di Irvine Welsh. E a un tratto, Manchester diventa Madchester. Presto si sparge la voce che all’Haçienda, quel posto con un nome tratto da un saggio di Ivan Chtcheglov, Formulario per un nuovo urbanismo, gestito da un pugno di idealisti e sognatori convinti di poter aprire uno squarcio di luce in quel contesto già deprimente, si tengono feste folli, che vanno avanti fino all’alba e oltre: è lì che ora si esibiscono i Chemical Brothers e Laurent Garnier, che prima di mettersi ai piatti della Pioneer si è guadagnato da vivere con altri piatti, ossia come cuoco del pub all’interno del club. Comincia dunque a girare la grana, solo che chi se la mette in tasca non sono i soci fondatori, alle prese con la voragine pregressa, ma soprattutto i dj, gli spacciatori e i malavitosi del posto, col risultato che più volte le autorità si adoperano per revocare la licenza al club.
Gli aneddoti che Hook snocciola lungo i capitoli che ripercorrono anno dopo anno la storia di un luogo capace di segnare un’epoca sono spesso tragicomici, anche se alla luce del fallimento finale del progetto l’aspetto tragico prevale su quello comico. Davvero un club non si dovrebbe gestire così: ma, sostiene Tony Wilson, certi fanno i soldi, e certi altri fanno la storia.