La Stampa, 11 gennaio 2020
La distruzione dei due indagati di Bibbiano
L’ultimo approdo della nostra civiltà è squadernato in una notizia diffusa in solitaria dal Dubbio: a dicembre furono liberati dalla detenzione preventiva (cioè prima del processo) due indagati di Bibbiano, ai quali almeno stavolta si risparmieranno i nomi in pagina. I motivi della decisione sono stati ora illustrati dal giudice delle indagini preliminari: «Concordemente con il pm» si ritiene che «la distruzione dell’immagine pubblica» è tale che i due «devono temere per la loro incolumità» e rende impossibile l’inquinamento delle prove. Non solo. «Il timore della propria immagine pubblica» sconsiglierà chiunque di accostarsi a gente con la reputazione così ben infangata, e ne sortirà un «cordone sanitario» più efficace di «qualsivoglia altra misura cautelare». Riassunto brutale: due innocenti (non secondo me, secondo la Costituzione) sono stati sputtanati al punto da doversene stare alla larga dal consesso umano per non ricavarne sputi o botte, e questo sarà persino più efficace della prigione. Il caso suggerisce un’idea (al ministro Alfonso Bonafede potrebbe piacere): invece del gabbio, catrame e piume e calci nel sedere nella piazza del paese per tutti gli indagati, si risparmia anche sui costi di mantenimento. Se poi malauguratamente saranno assolti, si vedrà. Non è sarcasmo, è il nostro pane quotidiano, e non vorrei se ne riversasse la colpa esclusivamente sulla magistratura. Siete voi i cannibali, la volete voi la carne umana, lo spettacolo sanguinolento con contorno d’indignazione gratis. E siamo noi, noi giornalisti, gli chef stellati di questo osceno pasto.