Il Sole 24 Ore, 11 gennaio 2020
L’Est Europa si sta spopolando
Nella Slavonia croata, alla frontiera con l’Ungheria, ogni anno centinaia di abitanti lasciano cittadine e villaggi per cercare fortuna all’estero. Così come facevano ormai un secolo fa i loro nonni o bisnonni. Lo spopolamento della Croazia si tocca con mano, e la tendenza è simile a quella che si registra in altri paesi dell’Est Europa dove si moltiplicano le misure a favore della natalità. La crisi demografica è diventata un elemento anche del negoziato sul prossimo bilancio comunitario.
«Perdiamo ogni anno l’equivalente della popolazione di una piccola città di 15mila abitanti», ha detto questa settimana qui a Zagabria il premier croato Andrej Plenkovic. «È una questione che richiede politiche attive. La libera circolazione delle persone così come una bassa natalità provocano una carenza di manodopera». Tre contee della Slavonia si sono prosciugate. Oltre 3mila persone hanno lasciato Slavonski Brod-Posavina, 5mila hanno abbandonato Vukovar-Sirmia e altrettante sono emigrate da Osijek-Baranja.
Le città fantasma
Più in generale, secondo l’Ufficio croato di Statistiche, il saldo tra immigrati ed emigrati è negativo da anni. Nel 2019, a fronte di 26mila immigrati, si sono contati 39mila emigrati, alla ricerca di fortuna, tendenzialmente in Germania, dove ormai risiedono circa 300mila croati. Vanno ad aggiungersi ai rumeni in Italia, ai polacchi in Inghilterra o agli albanesi in Francia. La crisi economica, il divario salariale, la libera circolazione sono diventati i fattori di una miscela che lascia gravissime conseguenze sociali e politiche.
Sempre secondo le statistiche locali, circa 190mila croati hanno lasciato il paese, dal 2013, quando la Croazia è entrata nell’Unione. Un recente articolo della Banca centrale croata (intitolato Dynamics and Determinants of Migration: The Case of Croatia and Experience of New EU Member States) sostiene però che le cifre sono sottostimate: solo tra il 2013 e il 2016, 230mila cittadini avrebbero lasciato il paese. Poco importa: ormai il 22% dei croati nati in Croazia risiede all’estero.
Il governo croato, che dal 1° gennaio ha assunto la presidenza dell’Unione, è riuscito a fare della questione demografica, e delle sue tante sfaccettature, una questione comunitaria. Nella nuova Commissione europea presieduta da Ursula von der Leyen, la croata Dubravka Suica è responsabile di un nuovo portafoglio che associa demografia e democrazia. Sul tavolo non c’è solo lo spopolamento di alcuni paesi, ma anche l’invecchiamento della popolazione – quasi il 20% degli abitanti europei ha più di 65 anni.
Il premier conservatore Plenkovic vuole che la questione demografica si rifletta nei negoziati sul prossimo bilancio comunitario 2021-2027 che stanno entrando nel vivo proprio in queste settimane. Con quale esito è ancora da capire. Certo l’argomento è utilizzato dalla Croazia per difendere con le unghie e con i denti i fondi di coesione e i fondi per l’agricoltura, entrambi utilizzati per evitare per quanto possibile lo spopolamento del paese, e in particolare delle campagne.
Zagabria può contare sull’appoggio degli altri paesi dell’Est Europa. D’altro canto, molti stati membri soffrono di un progressivo spopolamento. Secondo David Grant, del centro-studi Global Risks Insights, tra il 1991 e il 2015 i paesi baltici hanno perso il 16% della loro popolazione, mentre la Bulgaria ha perso il 26% dei suoi abitanti. La Lettonia ha visto la sua popolazione scendere da 2,66 milioni dopo l’indipendenza dall’Unione Sovietica, a 1,92 milioni oggi.
Alcuni governi dell’Est Europa perseguono ambiziose politiche della natalità che nella parte occidentale del continente i paesi esitano a introdurre perché ricordano le misure nazionalistiche dei passati regimi autoritari. In Polonia è aumentata la spesa statale per le famiglie, mentre in Ungheria il governo di Viktor Orbán ha nazionalizzato sei cliniche per la fertilità (si veda l’articolo in pagina). Questa settimana ha annunciato che trattamenti di fecondazione in vitro saranno a disposizione di tutte le donne fin dal prossimo mese.
L’impatto economico
«Il declino demografico – spiega il ricercatore Grant – è stata dettato da due eventi geopolitici: la fine dell’Unione Sovietica e l’allargamento dell’Unione europea». La libertà di movimento ha indotto all’emigrazione chi voleva una migliore qualità della vita, nuove opportunità personali e anche forse liberarsi dal giogo del clientelismo e della corruzione. Paradossalmente, questi stessi paesi dell’Est Europa sono anche quelli più freddi ad accogliere rifugiati, poco abituati a convivere con africani e asiatici.
L’impatto economico della crisi demografica è notevole. Quest’ultima pesa sull’economia nazionale e sui conti pubblici. Oggi la popolazione della Croazia conta 4,07 milioni di abitanti. Secondo le più recenti proiezioni, senza appropriate politiche demografiche, il numero di abitanti scenderà a 3,46 milioni entro il 2050. La stessa drammatica tendenza è prevista dalle Nazioni Unite anche in altri paesi dell’Est Europa, dalla Polonia all’Ungheria, alla Romania.
Consapevole di toccare un nervo sensibile, il premier Plenkovic fa notare che la crisi demografica (ed economica) alimenta spesso il populismo, inasprisce il nazionalismo. Quando gli si chiede se è contrario alla libera circolazione delle persone tra i Ventotto, si affretta a ricordare che «questo principio è una delle quattro libertà su cui si basa l’Unione». E poi aggiunge: «Abbiamo bisogno di tempo per aumentare il tenore di vita in Croazia». Di tempo e, sottintende, anche di denaro.