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 2020  gennaio 10 Venerdì calendario

Il cervello dell’uomo si è ridotto

La specie umana è in regressione e sta diventando sempre più stupida. A sostenerlo non è il solito vicino di casa con propensione al catastrofismo, bensì un luminare dall’onorabile competenza: il famoso genetista americano Gerald Crabtree. Questi, in uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Trends in Genetics, diffonde le sue teorie relative all’inesorabile marcia indietro della razza. Ma com’è possibile che l’era dell’hi-tech e dei progressi cibernetici rappresenti il punto zero? Potrebbe essere proprio l’avanzamento a remarci contro, inibendo un istinto di sopravvivenza che, in epoca remota, si è reso funzionale all’evoluzione: la tecnologia ha semplificato la quotidianità assopendo l’ingegno, e ciò che prima costituiva una conquista è oggi a portata di click. L’uomo, in altre parole, non intravede più un rischio in quella passività dalla quale sarebbe stato annientato in era preistorica, pertanto si darebbe ad agi e mollezze senza apparenti conseguenze; ma esse vi sono eccome: le nostre facoltà mentali si stanno impigrendo al punto che il cervello umano si è rimpicciolito: esso, dai 450 centimetri cubi dei nostri primi predecessori, sarebbe passato ai 1.600 dell’uomo di Neanderthal, salvo oggi ridursi a 1.350. 

TEST D’INTELLIGENZA
E se fosse la traccia di un lento declino? Stando a una ricerca edita dalla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences pare di sì: l’indagine riporta un trend secondo il quale, i nati tra il 1962 ed il 1991, avrebbero perso circa sette punti nei test d’intelligenza rispetto ai loro antesignani; codesta “deflazione cognitiva” ha avuto luogo a partire dagli anni ’70. Lo scienziato neozelandese James R. Flynn, intervistato dal Telegraph, ha argomentato il fenomeno: «La cultura dei giovani d’oggi si orienta molto sul computer e sui giochi virtuali, le conversazioni reali divengono sempre più rare». Il computer giocherebbe un ruolo ambiguo: da un lato agevola la quotidianità, dall’altro lo invita a riposare sugli allori, accelerando i processi del suo declino cerebrale. A determinare le sorti di un ingegno in decadenza si aggiunge anche il consumismo: la specie umana, un tempo animata dall’esclusivo proposito di provvedere a se stessa, poltrisce ormai sulle incoraggianti consapevolezze di ogni giorno: un supermercato ben fornito, un riscaldamento a portata di telecomando ed un piumino firmato col quale ripararsi dal freddo all’esterno delle proprie “tane” iperaccessoriate. C’è sempre chi ha rifornito la dispensa di ciò che occorre a sopravvivere, e perfino del superfluo. È inevitabile che, in una prospettiva così vantaggiosa, si perda familiarità con quel pizzico di imprevisto funzionale alla forgiatura dell’intuito. 

VARIAZIONI CROMOSOMICHE
Tutto ciò innescherebbe mutazioni genetiche tali da renderci diversi dai nostri antenati non solo sul piano estetico, ma anche cognitivo: le variazioni cromosomiche alle quali siamo sottoposti sarebbero ad oggi visibili perfino tra genitore e figlio. Quest’ultimo, secondo uno studio canadese, nascerebbe con almeno un centinaio di mutazioni genetiche rispetto al genoma di mamma e papà che, seppur di un solo passo, sono più vicini a chi lottava per restare in vita, rendendosi promotore inconsapevole del miglioramento della specie. Non stupisce che l’uomo sia divenuto meno preparato alla risoluzione delle incognite, oggi che l’autoconservazione non rappresenta più un grattacapo. A rispondere al quesito iniziale – se sia ipotizzabile un progressivo istupidimento della razza – potrebbe essere lo stesso Crabtree, il quale ha affermato: «Se comparisse tra noi un cittadino ateniese del 1000 a.C. sarebbe il più ingegnoso e intellettivamente acuto. Avrebbe una memoria imbattibile, un sacco di idee e una visione chiara di quali siano le questioni più importanti da risolvere. Sarebbe anche emotivamente più stabile di noi. Stessa cosa per gli abitanti delle Americhe, Asia, India e Africa tra i 2mila e i 6mila anni fa, periodo in cui abbiamo raggiunto il picco dell’intelletto».