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 2020  gennaio 10 Venerdì calendario

Intervista a un pirata della strada

C’è la disperazione, divorante, di chi ha perso un figlio in un incidente stradale. E c’è il dolore di chi, al volante, ha cagionato quell’angoscia. Sono trascorsi poco più di tre anni da quando Daniel Cuccato, oggi ventottenne, dopo una notte in discoteca in provincia di Vercelli sbandò con la sua Polo e uccise due amiche di 21 e 23 anni che erano in auto con lui: Rosaria Migliore e Silvia Bertarella. Avevano un sorriso che incanta e genitori che a stento non sono impazziti. Eppure il vortice della sofferenza e dell’apatia non ha inghiottito solo loro. C’è cascato dentro anche Daniel. Al processo di primo grado, con rito abbreviato, è stato condannato a 5 anni per omicidio stradale. Ubriaco, guidava troppo veloce. Il test rivelò un tasso di alcolemia di 0,8 grammi per litro (il massimo consentito è dello 0,5%). Difeso dall’avvocato Alessandro Scheda, Daniel sta aspettando la sentenza d’appello, ma l’attesa peggiore riguarda una pace che sembra non poter mai arrivare.
Come si sente oggi? 
«Dire che sono devastato è riduttivo. Anche io sono morto alle 7.20 del 23 ottobre 2016».
Ma Rosaria e Silvia non ci sono più, lei invece è qui a rievocare quei drammatici momenti.
«Io parlo, cammino, lavoro, sembro uno normale. Ma sono solo il fantasma di me stesso. Quella mattina sono morto anche io».
Perché?
«Rosaria, Sara per noi amici, e Silvia, erano amiche della mia fidanzata, le conoscevo da un anno e mezzo. Dopo la notte in discoteca mi ero offerto di accompagnarle a casa e mi sono morte tra le braccia. Non potrò mai dimenticarlo. La gente non mi crede: mi vedono in giro e per quello pensano che faccia la mia vita come se niente fosse. Non è così. Le mie giornate sono tutte uguali: mi alzo, vado al lavoro, faccio il saldatore, e torno a casa. Non esco più, non ho più amici, non più una vita».
Com’è possibile che non abbia più amici?
«Dopo quello che ė successo mi hanno abbandonato tutti. Anche la mia fidanzata: mi conosceva da un anno e mezzo, frequentava le due ragazze morte da sempre. Vorrei tanto che qualcuno mi telefonasse, mi suonasse al campanello di casa. Ma non capita mai. Vivo in solitudine da tre anni».
Come ha reagito subito dopo l’incidente?
«Sono stato a casa un mese. Ero un po’ acciaccato fisicamente e choccato per la morte di Sara e Silvia. Poi ho voluto darmi una mano e ho ripreso a lavorare. Ma oltre al lavoro non ho niente».
Si sente un recluso?
«Sì, è la condanna che mi sto dando. Non riesco più a dare valore a niente. Sono diventato apatico».
Ha provato a sottoporsi a una psicoterapia?
«I primi tempi sì, con una psicologa della mutua. Non ha funzionato. L’unica che mi ha davvero aiutato è stata mia mamma. Solo lei mi ha permesso di andare avanti. Ma lo ripeto, quella mattina alle 7.20 sono morto anche io».
Lo sa che se la condanna venisse confermata in Cassazione lei finirà in carcere?
«Lo so. Può darsi che il carcere sia la soluzione giusta, magari è un sollievo per le famiglie di Sara e Silvia. Ma io non ho sparato contro di loro. Non c’è condanna peggiore di quella che mi sto dando. Me lo sto facendo da solo il carcere. In quell’auto siamo morti tutti. Siamo legati dallo stesso destino».
Quanto aveva bevuto quella notte?
«Ero lucido. La sera, prima della discoteca, ero stato in pizzeria perché era il compleanno di mio padre e con la pizza ho bevuto uno Spritz. Poi in discoteca ho bevuto un gin lemon. Non ero ubriaco».
Guidava molto veloce però. Ha perso il controllo dell’auto prima di una curva?
«Ho perso il controllo perché c’era un dosso. Andavo sui 105, 110 all’ora».
Sarà stato anche insonnolito. Erano le 7.20 del mattino.
«Dopo la discoteca ci siamo fermati a fare colazione in un bar e abbiamo fatto tardi. Sto male, davvero male, a ripensare a quello che è successo. Non me ne faccio una ragione».
Ha chiesto scusa alle famiglie delle due ragazze?
«Ho mandato un messaggio per chiedere se ci potevamo vedere. Subito mi hanno risposto di sì, poi non se n’è fatto nulla e non ho incontrato nessuno. So che molta gente mi odia».
Che cosa glielo fa pensare?
«Mi guardano tutti storto, una volta mi hanno picchiato in piazza. Ma non sono un mostro. Lo so, Sara e Silvia non ci sono più, ma anche io è come se non ci fossi più. C’è solo il mio corpo, dentro non c’è più niente».