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 2020  gennaio 10 Venerdì calendario

L’edicola a tre ruote

L’edicola ha tre ruote che sembrano sgonfie per il carico da oltre una tonnellata di carta che sono costrette a sopportare. Arriva anticipata dalle detonazioni su di giri di un 125 diesel che ricorda il neoralismo di certe strade perdute. Si ferma alla scuola pubblica elementare di via Palermo, zona Brera, dove come ogni giorno alle 8,30 tra gli eco genitori del centro che arrivano in monopattino, in tandem, a piedi, piuttosto in taxi ma a benzina mai, capita di riconoscere i volti noti di Carlo Feltrinelli o Ludovico Einaudi. Gente abituata a rivedersi sui giornali ma che i giornali in zona non avrebbe più saputo dove comprarne se una mattina di dicembre non fosse comparsa un’Ape stipata di quotidiani e riviste.
«Mi ha portato lo speciale sui minerali?» domanda un padre in accigliato paltò. «Ci mancherebbe, eccolo» risponde frugando un cassettone dell’edicola mobile Andrea Carvini, l’imprenditore che progetta di salvare la carta stampata motorizzando i punti vendita. Si chiama “Edicola Quisco” (dallo spagnolo quiosco, chiosco) il mezzo con cui Carvini circola dal 18 dicembre, meno di un mese, facendo tappa (per ora) in tre piazze rimaste orfane di edicole ortodosse causa cessata attività. Come largo Treves, a due passi da via Palermo, dove sei mesi fa si sono abbassate l’ultima volta le saracinesche del giornalaio che per decenni era stato un riferimento. Oppure a Dergano, periferia nord di Milano, quartiere fu industriale dove gli affitti bassi attraggono giovani e idee ma dove in particolare gli anziani si sono visti abbandonare, sempre sei mesi fa, dallo strillone locale. «Non ha idea di cosa accade quando arrivo» sorride Carvini mentre scala dalla quarta alla prima. E quando in effetti Quisco attorno alle 10 si ferma in piazza Dergano e si aprono i pannelli del cassone da cui spuntano titoli freschi e testate, a grappoli si presentano lettori, si innescano dibattiti feroci ma schietti sul Milan e su Trump.
Ma se i lettori ci sono perché le edicole chiudono? «Perché le edicole anzitutto hanno costi di gestione alti, quindi hanno puntato troppo sui servizi e poco sull’identità, ora bisogna evitare che ci si abitui a non comprare più giornali perché indietro non torna nessuno» avverte Carvini. Milanese, 52 anni, laureato in filosofia, e a Milano negli anni 90 direttore di due Feltrinelli, fondatore nel 2003 delle librerie Ubik vendute poi a Messaggerie, ha visto uno spiraglio in una legge del 2001. Che consente a editori, distributori ed edicolanti la vendita ambulante senza ulteriori autorizzazioni. In società con Editoriale Service, distributore locale, e la sponsorizzazione della Panini, Carvini ha comprato un’edicola chiusa. «Mi garantisce la licenza ma soprattutto mi serve da hub. Funziona da edicola, fa da ufficio, è il luogo di carico e resi». Il costo di gestione, nei piani del progetto, viene spalmato sulla resa di sei Ape affidate in franchising, «con spese per gli ambulanti inferiori del 90% a quelle delle edicole classiche». Per Milano, Carvini prevede circa 12 di quelle che definisce “edicole dominanti”, la cui flotta di 72 Ape sarebbe sufficiente a servire il grosso della città.
I sindacati di categoria hanno già espresso dubbi. «Non arreco alcun danno, vado dove le edicole non esistono già più». A Dergano in un’ora il fatturato è di 200 euro, al ritorno in centro, non lontano dal Bosco Verticale, Repubblica è esaurita, va forte anche il numero 400 di Dylan Dog. Che cosa accadrà delle edicole in eccedenza quando i giornali si venderanno solo a motore? «Avrei già un’idea, vorrei farne librerie».