Corriere della Sera, 10 gennaio 2020
Ambra Angiolini contro i bulli. Intervista
Un testo «come una montagna da scalare»: Il nodo, della drammaturga statunitense Johnna Adams, è la nuova sfida che Ambra Angiolini ha scelto per il suo ritorno sul palco dopo La guerra dei Roses, dal romanzo di Warren Adler e Tradimenti di Harold Pinter.
«Uno spettacolo che indaga il bullismo e le ragioni profonde che lo generano attraverso il confronto tra una madre, Coryn Fell, il mio personaggio, e l’insegnante di suo figlio Gidion, Heather Clark, interpretata da Ludovica Modugno». Il nodo debutterà sabato 11 e domenica 12 gennaio al Teatro dei Rozzi di Siena.
Lei ha due figli, Iolanda, 16 anni, e Leo, 14. Sono mai stati vittime di bullismo?
«Sicuramente il tema del bullismo qualche notte insonne me l’ha fatta passare, mi riguarda come madre, ma non ho mai avuto con loro esperienza diretta nell’uno o nell’altro ruolo, di vittima o carnefice. È capitato che mio figlio difendesse qualche ragazzo tenuto ai margini, l’isolamento è una forma di bullismo. Mi sono sforzata di crescere piccoli guerrieri nascosti che sapessero all’occorrenza mettere a posto le cose».
Nessun episodio particolare, quindi?
«Solo una volta in cui a Leo hanno quasi tagliato il lobo dell’orecchio perché ha recuperato il giubbotto di un amico gettato nel cestino. Ho insegnato loro che devono occuparsi degli altri, anche mettendo in conto che questo possa avere delle conseguenze. Ma è l’unico modo che abbiamo per conservare la nostra umanità».
Che cosa racconta il testo?
«È ambientato in una scuola media. Nell’ora di ricevimento, a una insegnante si presenta la madre di un suo allievo, Gidion, che è stato sospeso ed è tornato a casa pieno di lividi. Ma il ragazzino è vittima o carnefice? E di chi sono le responsabilità: della scuola, della famiglia, di entrambi? Il durissimo dialogo tra Coryn e Heather tenta di sciogliere il nodo, di cercare la verità».
E qual è la verità?
«Il loro è uno scontro rivelatore: sotto la superficie del bullismo si nascondono i fallimenti del sistema, le colpe degli adulti, la libertà di espressione dei ragazzi. Il testo mi ha costretta a guardare oltre le vittime e i carnefici, rivolgendo lo sguardo anche alle ripercussioni sugli adulti. Queste due donne sono figure tragiche che cercano di salvare se stesse dal senso di colpa. E che mettono noi di fronte alle nostre responsabilità: per ogni vittima, ma anche per ogni carnefice, siamo noi a essere sconfitti».
Accanto al tour teatrale, lo spettacolo andrà anche nelle scuole.
«Andremo di fronte agli studenti, in un contesto dove il bullismo è realtà, e dove genitori e insegnanti non vengono generalmente considerati come parte delle dinamiche tra bullo e vittima. Vogliamo mostrare quali effetti possono avere anche su di loro».
Lei è mai stata vittima di bullismo?
«No, ma ricordo a scuola il disagio verso alcune forme di sopraffazione nei confronti di bambini che oggi definiremmo “autistici”. Le suore ci chiedevano un “fioretto”: rimanere in classe con loro. Come se fosse un atto di carità».
Che tipo di madre si considera?
«A cantiere aperto, sempre a mettere impalcature dove vedo il pericolo, e a buttarle giù dove non serve. Iolanda e Leo sono il mio Oscar alla carriera. Un premio che meriterebbe anche mio figlio, che tutti i giorni mi insegna ad avere a che fare con il maschile, con il diverso da me. Ho sempre considerato gli uomini come partner, con un figlio combatti, hai necessità di confronto. Non ti fa battere il cuore, te lo ruba».
Pensa che i social contribuiscano ad amplificare l’ampiezza del fenomeno?
«Hanno contribuito a mettere le vittime con le spalle al muro, circondandole non più solo fisicamente. C’è una maggiore esposizione. Credo che nel cyber-bullismo tanta responsabilità sia anche dalla parte di chi guarda. C’è una corresponsabilità tra chi posta: tranne le vittime nessuno è innocente. Anche guardare è una forma di colpevolezza».