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 2020  gennaio 10 Venerdì calendario

Nel Lager salvo per due chili in più

Analfabeta, pastore e contadino, era partito per fare la guerra da Perdasdefogu, villaggio sui monti tra Cagliari e Nuoro. Il 21 maggio 1935 prima visita di leva a Cagliari. Pesa 62 chili, lo rispediscono a casa per «debolezza di costituzione ma rivedibile alla ventura leva», l’esercito del Duce ha bisogno di giganti. Vittorio Palmas – nato il 16 dicembre 1913 – torna felice alle sue mucche e all’orto. Miete il grano che nasce tra le pietre, vendemmia, fa il vino, sposa Fortuna. La felicità dura poco. Al paese fa marce e grida eia eia alalà, è «richiamato alle armi» a marzo del 1940. Nuova visita. Pesa ancora 62 chili ma è «arruolato» nel 57° Reggimento Fanteria. Si dispera. Diventa saldatore elettrico nelle caserme venete, a Treviso deve oliare fucili, maratone quotidiane, va in Croazia, capannoni gelidi, cibo razionato, il peso cala. Diceva: «Gli jugoslavi erano feroci, ma poveri come me». Il 3 ottobre 1943 con altri 124 soldati è catturato dai tedeschi a Vicenza. Treno per la Germania, tappa finale Sachsenhausen, zona di Oranienburg, 35 chilometri da Berlino. È prigioniero di guerra. Lavora per la Aeg e la Siemens, sgobba dodici ore al giorno, le industrie del Führer incassano. Qui si falsificano monete, centomila prigionieri politici muoiono passati per le armi. Vittorio vede dodici ragazzi portati via dai tedeschi. Legati a un palo, fucilati, lanciati sul cassone di un camion, poi in una fossa comune. Ne aveva scavate anche Vittorio, guardato a vista da kapò armati.
A novembre 1944, con altri italiani, è trasferito a Bergen Belsen, campo di concentramento, quello di Anna Frank che Vittorio non sa chi sia. Ancora saldatore elettrico. Rancio con acqua e bucce di patate. Perde peso ogni giorno. Una norma dei nazisti impone camera a gas e forno crematorio per chi è sotto i 35 chili: è la fine di molti ebrei, zingari, omosessuali. In cielo nuvole di fumo. Ogni lunedì la pesa. Chi è sotto i 35 va a destra del capannone, gli altri a sinistra. Per Vittorio la bilancia bascula da pavimento segna 37. Quelli in fila a destra vanno verso la morte, lui è salvo. Salvo per due chili. «Due chili – aveva svelato dopo mezzo secolo davanti a un caminetto – che mi fanno raccontare questa storia, l’avevo svelata solo alla seconda moglie, Elvira». Erano stati cinquantamila i morti in quel cimitero-Lager. L’Armata Rossa ad Auschwitz, altri mesi di sbandamento, finalmente torna in Italia: Brennero, Verona, tre giorni a Roma, poi la nave per la Sardegna. Arriva a Perdasdefogu ad agosto del ’45: «Mi vedono magro come un chiodo, si spaventano. Vado subito in cimitero a portare una rosa a Fortuna, l’aveva uccisa la meningite».
Rientrato nella casa che dà sugli orti si risposa: «Quattro bambine hanno bisogno di una mamma». Vita di famiglia, vigneto, le ciliegie accanto al frutteto del canonico Spano amico di don Sturzo. Primo impegno al «tancato» dove brucano mucche e vitelli: «Quando mi vedevano arrivare col secchio della biada, facevano roteare le code e mi salutavano con i muggiti. Chiamandole per nome accarezzavo Stella, Ulisse, Luna, Ribelle e Diana».
Ogni lunedì la pesa Quelli messi in fila a destra del capannone vanno verso la morte
Gli incontri nelle strade e nella piazza di San Pietro diventano il revival della guerra che fu. Vittorio non racconta subito il miracolo dei due chili. Riabbraccia Bonino Lai, oggi centenario, marconista in Jugoslavia: aveva rischiato di essere fucilato per aver ricevuto un telegramma dove si leggeva «Italia è morta». Due gerarchi credevano a un messaggio in codice per un assalto jugoslavo. Nel telegramma mancava una enne, a morire era stata Italina, sorella di Bonino. Egidio Lai parlerà di El Alamein. Antonio Brundu delle stragi del ’43: «Mi ero salvato perché avevo la febbre, mi avrebbe ucciso la bomba che ho trovato sul mio letto al rientro dai rifugi antiaerei». Ogni giorno cronache di guerra: Vittorio Tegas, infermiere cavadenti nel gelo del Don, parla del soldato Dieni Nino: «Una bomba gli aveva maciullato la pancia, medicavo da una parte e il sangue scorreva dall’altra, era spirato col nome della fidanzata sulle labbra, Silvia. Avevo scavato la fossa nella neve». Un altro Vittorio, «Patata», tornava dall’inferno «tutto pulci» di Norimberga. Mario Casu parlava della prigionia in India, a Bangalore, dove – partito analfabeta – aveva studiato l’inglese «per poter parlare con Gandhi». E i ventenni morti in Russia senza sepoltura? Gino Pitzalis «il più bello di Foghesu», Luigi e Beniamino Lai, Giuseppe Mameli, Efisio Monni e altri ragazzi i cui nomi si leggono nelle lapide dei Caduti della seconda guerra (erano stati 28 nella prima, tra Carso e Piave). A Foghesu c’erano zingari e confinati, Caterina Lo Giudice vi fu spedita per punizione da Potenza dove aveva urlato contro Mussolini.
Prima della morte il 12 maggio scorso, a pochi mesi dai 106 anni, Vittorio era diventato un mito, conferenziere nelle scuole medie e nei licei, interviste tra Bbc e tv giapponesi, Rai e France 2, a tutti ripeteva le cinque parole «sono vivo per due chili» dal Lager di Bergen Belsen «dove uccidevano bambine ebree che nulla avevano fatto di male». Vittorio l’analfabeta ha insegnato la Storia a molti. Il Comune gli dedicherà una piazza. Il sindaco Mariano Carta: «È un eroe della storia europea».