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 2020  gennaio 10 Venerdì calendario

Gli anni punk di Ursula von der Leyen

Il 1978 fu l’anno in cui la febbre del punk contagiò definitivamente Londra. E anche la ventenne studentessa tedesca arrivata dalla provincia profonda della Bassa Sassonia, dove aveva frequentato l’Università di Gottinga, fu volenterosa preda del virus. «Passavo più tempo nei bar di Soho e nei negozi di dischi di Camden Town che nella biblioteca della London School of Economics a leggere», ha confessato mercoledì agli studenti del prestigioso ateneo londinese.
Alla Lse e nella scena heavy metal la conoscevano come Rose, Rose Ladson. Ma il suo vero nome era Ursula, Ursula Albrecht. Anni dopo, sposando un mite professore rampollo di un’antica dinastia della Mosella, il suo cognome sarebbe diventato von der Leyen.
Parliamo proprio di lei, la presidente della Commissione europea, che due giorni fa è tornata a scuola, nel suo primo viaggio ufficiale nella capitale britannica da quando è stata nominata. Ha incontrato il premier Boris Johnson naturalmente, al quale, preso atto della Brexit, ha teso la mano spiegando che l’Unione europea è pronta a negoziare col Regno Unito «una partnership il più ambiziosa e completa possibile».
Ma a stabilire il tono di fondo della visita è stato il discorso di von der Leyen alla sua Alma Mater, con una sorprendente dichiarazione d’amore: «In quegli anni – ha detto – mi sono innamorata di Londra, dell’intera Gran Bretagna e della loro società accogliente, aperta, vibrante, colorata e multiculturale. Per me che venivo da una Germania monotona e incolore fu affascinante».
Ma come arrivò e cosa faceva esattamente Ursula von der Leyen nella Londra dei Clash e dei Sex Pistols?
A mandarcela era stato il padre, Ernst Albrecht, all’epoca premier cristiano-democratico della Bassa Sassonia, preoccupato dell’incolumità dei suoi cari. Correvano gli anni di piombo. La Raf (le Brigate rosse tedesche) uccideva o rapiva uomini politici, imprenditori e le loro famiglie. Così, per allontanarla dal pericolo, la giovane Ursula fu iscritta alla Lse sotto falso nome. La scelta di questo non fu casuale: Ladson era infatti il cognome della bisnonna americana e Rose era l’equivalente del vezzeggiativo con cui il padre la chiamava da bambina: Röschen, piccola rosa.
Affittò un appartamento al primo piano di una town house a Earl’s Court. La ragazza lo divideva con lo zio materno, Erich Stromeyer. Al piano sotto abitavano la proprietaria, Jadwiga Rostowska e suo figlio Jacek Rostowski, futuro ministro delle Finanze polacco. È lui ad aver raccontato che «Ursula si divertiva, faceva spesso tardi e molte volte dimenticava la chiave attaccata alla porta». Il problema fu risolto attaccando un campanello girevole capace di suonare ogni volta che la porta veniva aperta, per ricordarle di ritirare la chiave.
«Più che studiare ho vissuto», ha ammesso la presidente della Commissione la scorsa estate in un’intervista a Die Zeit. Un collega dell’epoca ha ricordato al Times che Ursula non mancava mai un concerto, che la sua band preferita erano i Buzzcocks e che la ragazza era piuttosto «scatenata».
La Lse era un ateneo altamente politicizzato, con un forte orientamento a sinistra. Un’ex studentessa, Liz Anderson, ha ricordato che proprio nel 1978 gli studenti al termine di un sit-in tentarono di occupare l’ufficio del rettore, il celebre sociologo Ralph Dahrendorf. Ma non ha saputo dire se Ursula Albrecht prese parte alla protesta.
Alla domanda su come l’anno londinese abbia influito sulla sua formazione, Ursula von der Leyen ha risposto: «Londra era per me l’epitome della modernità: libertà, gioia di vivere, provare di tutto. Mi ha dato una libertà interna che conservo ancora oggi. E anche un’altra lezione: che culture diverse possono vivere molto bene le une con le altre». Niente male per l’esponente di un partito, la Cdu, che ha spesso difeso la «deutsche Leitkultur», la cultura dominante tedesca.