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 2020  gennaio 07 Martedì calendario

La vera storia di Daniel, l’uomo in gabbia

OPERA (MILANO) – «Accidenti, ma quello è proprio lui, lo riconosco! Le consiglio di non rischiare, non gli vada troppo vicino, può diventare aggressivo…». Sembra che l’abbiamo fatto apposta, e invece la beffa è solo frutto del caso. Ci eravamo dati appuntamento con il sindaco di Opera, Antonino Nucera, lì al mercato del sabato mattina dove i vigili il 21 dicembre scorso avevano catturato un mendicante africano segnalato per le minacce rivolte a chi gli negava l’elemosina. Tradotto al Comando del Corpo di Polizia locale, rinchiuso in una gabbia, lo avevano immortalato come un trofeo pubblicando la fotografia (dopo averne sbiancato il volto) sulla loro pagina Facebook ufficiale: “A seguito di segnalazioni da parte di cittadini, che lamentavano un soggetto teso ad infastidire le persone nell’area del mercato di Opera, la persona è in stato di fermo e sono in corso gli accertamenti”. Nel pomeriggio, appreso che la pubblicazione della foto dell’uomo in gabbia violava la normativa vigente (articolo 114 del Codice di procedura penale), i vigili la rimuovevano con tante scuse. Ma a quel punto è stato il sindaco Nucera a ripubblicarla: “Complimenti agli agenti che in pochi minuti hanno raccolto l’sos lanciato dai cittadini. I malintenzionati devono sapere che a Opera la criminalità è un nemico”. Proseguiva, il sindaco, denunciando la “speculazione giornalistica a difesa di un molestatore, pluripregiudicato, con in capo un provvedimento di espulsione e accusato di nuove molestie oltre che aggressione a pubblico ufficiale”. E aggiungeva che si tratta di “un criminale già condannato fino al terzo grado”.
Per questo ho deciso di andare a Opera, nel tentativo di capire chi fosse davvero l’uomo senza volto esibito in gabbia per rassicurare la popolazione, e che fine avesse fatto. Tutto avrei pensato, tranne di ritrovarmelo lì davanti. Per raggiungere piazza XXV aprile dove ogni sabato mattina si tiene il mercato di Opera, comune di 14 mila abitanti alla periferia sud-ovest di Milano, percorro delle vie che si chiamano Fratelli Cervi, Berlinguer, Di Vittorio, Resistenza. Ma so di non dovermi lasciar trarre in inganno da queste intitolazioni: le “giunte rosse” qui sono state rovesciate già da oltre un decennio. Il predecessore del sindaco Nucera, oggi suo vice (anche se preferisce definirsi “sindaco emerito”) è il leghista Ettore Fusco, distintosi per aver guidato la spedizione punitiva che appiccò il fuoco alle tende di un campo rom di 73 persone, fra cui 35 bambini. Era il lontano 2006. Guarda caso, anche allora il 21 dicembre. Si vede che l’atmosfera natalizia da queste parti suscita pulsioni da film western. Comunque sia, far-west o non far-west, a Opera con il tema della sicurezza non si scherza: su Facebook, a commento della fotografia dell’uomo in gabbia, troviamo, sì, giudizi critici di operesi che condannano il ricorso alla “gogna”. Ma prevalgono nettamente gli elogi per il gesto dimostrativo, e l’auspicio più ripetuto è quello che si sente di continuo nei talk show televisivi: “Buttate via le chiavi”.
Appunto. L’avranno buttata via, la c hiave? Il “molestatore” resta custodito al sicuro nel fondo di una cella, magari in attesa del (costoso) rimpatrio forzato in Nigeria? Il sindaco Nucera aveva appena cominciato a raccontarmi, compiaciuto, che quel “criminale” era già stato processato per direttissima e condannato per resistenza e danneggiamento, nonostante avesse sostenuto di essere lui l’aggredito. La pena? Trenta giorni agli arresti domiciliari.
Ma allora come osa, l’impunito, farsi rivedere di nuovo qui al mercato in cui avrebbe seminato il terrore? Naturalmente, chiede l’elemosina… Per questo il sindaco mi raccomanda: «Stia attento, può essere pericoloso!». Per andargli accanto, a dire il vero, non mi ci vuole un particolare coraggio. Semmai è il mendicante a impaurirsi di fronte al mio quaderno degli appunti. Passano delle signore anziane col carrello della spesa e gli allungano una moneta. Lui, raccogliendola nel palmo della mano, ogni volta piega il ginocchio in una teatrale riverenza. Una vera e propria genuflessione. Comunicare non è facile, riusciamo a scambiare solo qualche frase in inglese. Si chiama Daniel Owenwense, è nato nel 1984 a Benin City, la capitale dello stato di Edo da cui proviene la maggior parte dell’emigrazione nigeriana in Italia. Ha una moglie e due figli, di 11 e 9 anni, che vivono con lui a Voghera. Da tempo non trova lavoro. Gli mostro la fotografia di lui in gabbia e gli chiedo se ha saputo della pubblicazione. Macché, sono il primo a parlargliene e ottengo solo di spaventarlo ancora di più: «La prego, mi lasci, non rubo, non faccio niente di male».
A debita distanza il sindaco, ormai circondato da un capannello di curiosi, telefona ai vigili e ai carabinieri. Non si spiega che l’uomo in gabbia sia di nuovo in mezzo a noi. Lo lascio per aggirarmi fra i banchi del mercato a raccogliere qualche testimonianza. Lo conoscete? «Certo, viene qui da molto tempo, si piazza all’ingresso, ti guarda in silenzio e chiede la carità a gesti». Ora io non posso escludere che il mendicante nigeriano possa avere molestato o addirittura minacciato qualcuno che gli negava l’elemosina. Su Facebook la negoziante Antonella Sanfratello ha scritto, lo riporto testualmente: “A cercato d’entrare nel mio negozio dando i pugni hai vetri… non è una persona regolare”.
Fatto sta che sabato al mercato ho registrato solo informazioni di segno opposto: «Troppo insistente? Io con lui ho messo le cose in chiaro, di soldi non ne ho abbastanza neanche per me». «Se gli dico di aspettare, perché ora non ho moneta, lui non protesta». «No, lamentele non ne ho sentite, è solo un poveraccio un po’ fuori di testa».
Arrivano i carabinieri, chissà se lo arresteranno perché evaso dagli arresti domiciliari. Scopriamo così che anche il giudice ha valutato innocuo l’uomo in gabbia, visto che una settimana dopo il fermo ha attenuato il provvedimento restrittivo. Solo obbligo di firma. Può circolare. La pace regna a Opera, anche se lo Stato non ha buttato via le chiavi.
A questo punto, davanti a un caffè, anche il sindaco Nucera si rilassa e mi fa una confidenza: l’uomo in gabbia era già tornato al mercato la settimana scorsa, e lui lo aveva accompagnato in macchina fino alla fermata del pullman perché non si facesse più vedere. Ma insiste, il sindaco, a definire pericoloso il mendicante, non importa se nero o bianco: già sull’auto aveva avuto una colluttazione con gli agenti che l’avevano fermato. E poi, al Comando, nel pomeriggio, cioè ben dopo la fotografia, aveva chiesto di andare in bagno e li aveva aggrediti con pugni e morsi, come certificato dai referti del pronto soccorso.
Daniel Owenwense è un poveraccio affetto da disagio mentale. Qualcuno direbbe: una vita di scarto. Fornirgli cure appropriate e sostegno materiale costa senz’altro meno, ed è meno complicato, che rimpatriarlo in Nigeria. Esibirlo chiuso in una gabbia ci fa sentire più sicuri? Di sicuro strappa applausi. Se gli promettono qualche euro di ricompensa magari ci torna di sua sponte.