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 2020  gennaio 07 Martedì calendario

In Germania il museo del bikini

È una notizia in anticipo sulla stagione. In primavera si aprirà il BikiniArtMuseum, lungo l’autostrada A6, a Sud di Heidelberg, poco prima di Heilbronn, nel Baden-Württemberg. Gli automobilisti diretti verso le nostre spiagge vedranno stagliarsi all’uscita di Bad Rappenau un’enorme silhouette, una splendida ragazza in due pezzi, che li invita a una sosta. «Niente di peccaminoso», avverte l’ideatore, Alexander Ruscheinsky, 67 anni. Al museo sarà annesso un hotel con 95 stanze. «Il bikini fa parte della nostra cultura, e la sua nascita, nel 1946, segna anche la rivoluzione femminile», spiega Ruscheinsky, proprietario di una catena di 14 Autohof sulle autostrade tedesche, luoghi di ristoro per camionisti. Dimostrativ & feministisch è infatti lo slogan del museo, che è superfluo tradurre.
A leggere le prime dichiarazioni di Herr Alexander, da siculo quale sono, mi ero già adombrato. Il bikini, spiega, nasce ai piedi della Tour Eiffel, alla piscina Molitor sulla Senna, nel primo dopoguerra, creato da Louis Réard che lo battezzò con scarsa galanteria con il nome dell’atollo su cui gli americani avevano collaudato la bomba atomica. E i mosaici della Villa del Casale, a Piazza Armerina (Enna), nel cuore della mia Sicilia? Mostrano ragazze intente a giocare a palla coperte appunto da essenziali costumi da bagno, diversi secoli prima di Monsieur Réard.

Troppo precipitoso: al Bikini Museum nel cuore della Germania verranno esposte anche riproduzioni dei mosaici. Alexander non ci ha trascurato, anche se nel seguito dell’intervista ricorda che il bikini fu a lungo osteggiato in Italia, sulle nostre spiagge poliziotti sudati in divisa si aggiravano multando le prime audaci bagnanti. Il bikini tornò in Sicilia, precisamente a Cefalù, al Village Magique, che poi divenne il primo Club Méditerrannée, inaugurato nel giugno del 1951. I playboy siculi giungevano per dare la caccia alle turiste, tutte francesi, all’inizio, che prendevano il sole. Fu uno scandalo. Il vescovo di Cefalù, Emiliano Cagnoni, fu costretto dalle parrocchiane a compiere in estate una processione lungo il mare dal paese ai tucul del centro vacanze per protestare contro le diavolesse. Il vescovo Cagnoni era stato un coraggioso antifascista, e presumo che si sia piegato malvolentieri alle proteste delle fedeli. Il Village non fu chiuso, e nel ’53 ispirò il film Vacanze d’amore, con Delia Scala, Walter Chiari, e uno sconosciuto Domenico Modugno. Non proprio un filmetto, uno degli sceneggiatori fu Vitaliano Brancati. Spero che non venga dimenticato a Bad Rappenau.

Al museo saranno esposti costumi d’epoca cercati un po’ ovunque, foto, manifesti con storiche ragazze in due pezzi, Ursula Andress nel primo James Bond, Agente 007 – Licenza di uccidere (Dr. No) o Marisa Allasio in Poveri ma belli. A Roma, i manifesti vennero coperti da strisce nere per volere di Pio XII. Il film di Dino Risi divenne internazionale. L’ho rivisto qualche anno fa alla tv tedesca, con il titolo Ich lasse mich nicht verführen, io non mi lascio sedurre. Anche qui abbondano in repliche in estate, e traducono i titoli a capriccio. Sentire Maurizio Arena parlare tedesco fu un’esperienza culturale.

Il bikini non fece scandalo solo in Italia, anche altrove, perfino sul Baltico ai tempi di Adenauer. Ma non importa, ormai stava per nascere il monokini. Lo creò nel 1963 Rudi Gernreich, e la sua non fu una trovata per dare scandalo: era un ebreo viennese, fuggito a sedici anni nel 1938 quando Hitler si annesse l’Austria. Era un convinto paladino della parità dei sessi. Il monokini non ebbe fortuna perché a sfoggiarlo furono in poche, e negli Stati Uniti le ragazze rischiavano la galera. «Oggi il bikini non scandalizza più nessuno, e si discute casomai del burkini, il costume con cui sono costrette a entrare in piscina le ragazze musulmane e anche a prendere lezioni di nuoto», conclude Alexander.