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 2019  dicembre 06 Venerdì calendario

In Francia uno sciopero generale come quello di ieri contro la riforma delle pensioni non si vedeva dal 1995: tutte le categorie contro Macron

In Francia, il testo ufficiale della riforma delle pensioni annunciata da Emmanuel Macron non c’è ancora e si prevede che sarà reso pubblico all’inizio del prossimo anno. Ma sono bastate alcune indiscrezioni sui contenuti, tutte all’insegna dell’austerità e volte a ridimensionare gli assegni mensili di numerose categorie, per scatenare una vera rivolta sociale.Non si potrebbe definire altrimenti lo sciopero generale attuato ieri da tutte le categorie sindacali e professionali, con 250 manifestazioni di piazza in tutta la Francia organizzate da sindacati, partiti di opposizione e gilet gialli, con il blocco di treni, aerei, metro, autobus, scuole, ospedali. Una mobilitazione di massa come non si vedeva dal 5 dicembre 1995, anche allora contro la riforma delle pensioni proposta dal premier Alain Juppé, che fu costretto alle dimissioni.
Difficilmente Macron farà altrettanto, anche se ormai il 64% dei francesi, stando ai sondaggi, è convinto che Jupiter (Giove, tale si considera il presidente francese) «non comprenda la realtà delle difficoltà sociali che attraversa il paese». Una frattura tra l’Eliseo e il corpo sociale che era venuta alla luce un anno fa con la rivolta dei gilet gialli, e che ora è diventata ancora più profonda di fronte alle politiche di austerità che Macron ha deciso di attuare in Francia non solo nel tentativo di attuare, con un certo ritardo, le ricette suggeritegli da Angela Merkel, ma anche per convinzione personale: nella sua presunzione sconfinata, Jupiter non ha mai nascosto di volere cambiare molte cose in Francia, compreso lo stile di vita dei suoi connazionali.
Per la verità, che il sistema previdenziale francese abbia bisogno di una correzione di rotta lo dicono i numeri.
È in rosso stabile, e le previsioni parlano di un buco di 17 miliardi di euro nel 2025. La causa? Tra pubblico e privato, vi sono 42 regimi previdenziali differenti, 12 dei quali riguardano una sola azienda pubblica, Sncf, le ferrovie di stato, i cui dipendenti godono di diversi privilegi. Il primo obiettivo della riforma, secondo le indiscrezioni, sarebbe quello di eliminare i 42 regimi per unificare l’intero sistema, con regole eguali per tutti sull’età del pensionamento, sui contributi e sulla pensione minima. Una rivoluzione che i francesi vedono come una spinta alla decrescita infelice, come se l’Eliseo avesse preso lezione da Beppe Grillo.
I primi a opporsi sono stati i sindacati dei ferrovieri, gelosi dei loro discutibili privilegi. Mentre il resto dei francesi può andare in pensione a 62 anni con una pensione media inferiore a mille euro al mese, loro possono farlo a 58 anni, con una pensione media di 2.100 euro mensili. I conducenti dei treni possono addirittura ritirarsi a 53 anni, con più di 3 mila euro al mese in media.
La riforma Macron punta a elevare l’età del ritiro a 64 anni e a una pensione minima per tutti di mille euro al mese, unificando i sistemi contributivi. Sulla carta, una simile riforma può incontrare il favore dei lavoratori agricoli e di quelli precari, che oggi non arrivano a mille euro mensili di pensione. Ma oltre a scontentare i ferrovieri e altri settori forti del pubblico impiego, risulta inaccettabile anche per diverse categorie professionali (medici, levatrici, avvocati, insegnanti) le quali sostengono di avere dei fondi pensione in attivo, per cui dalla riforma avrebbero solo da perdere, ricevendo meno di quanto versato.
Con queste premesse, il braccio di ferro sulle pensioni rischia di diventare uno spartiacque decisivo nella politica francese. Macron punta a realizzare una riforma difficile sul piano sociale, dove tutti i governi del passato hanno fallito, e si dice sicuro di una «vittoria storica». Gli oppositori, che hanno organizzato lo sciopero generale di ieri, vogliono invece fargli rimangiare l’intero progetto, infliggendogli quella sconfitta totale che finora ai gilet gialli non è riuscita.
Quale che sia l’esito, è certo che il consenso politico per Macron è ai minimi termini, l’ennesima conferma di una parabola politica discendente, di un modello politico finito, senza più alcun appeal in patria, e sempre più bisognoso dell’appoggio tedesco per tenere botta in Europa.