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 2019  dicembre 05 Giovedì calendario

Intervista a Clint Eastwood

A dicembre, è un passaggio quasi obbligato: dopo che gli Oscarologi e tutta la folta comunità che vive attorno al cinema e ai premi cinematografici ha passato mesi ad aggiungere favoriti e scartare le produzioni più deludenti, arriva quasi inaspettato il nuovo film di Clint. Semplicemente Clint, perché a sei mesi dal compiere i 90 anni Clint Eastwood - il cavaliere solitario e senza nome dei western di Sergio Leone, diventato gigante di Hollywood riverito e rispettato per i suoi film - continua a dirigere e a produrre film indipendenti e non convenzionali. Come Richard Jewell, storia della guardia di sicurezza che alle Olimpiadi di Atlanta, nel 1996, scoprì uno zaino contenente esplosivo nascosto sotto una panchina. Un eroe che salvò molte vite, ma tre giorni dopo divenne il principale sospettato, accusato dall’Fbi, dalla stampa, dall’opinione pubblica, per poi scoprire dopo tre mesi che il colpevole era stato un altro e che la vita di Jewell era stata distrutta e messa sottosopra senza ragione.
«La vicenda di Richard Jewell mi ha colpito perché è una grande tragedia americana - spiega Eastwood -. La storia di una persona che compie un atto eroico e si ritrova accusata di avere commesso quel crimine mi è sembrata la base per un grande film. Spero di ristabilire l’onore di Jewell e spero soprattutto che la nostra società riesca a fare un po’ meglio». Nel film Jewell è interpretato dall’ottimo Paul Walter Hauser. Tra gli altri interpreti, John Hamm, Sam Rockwell, Olivia Wilde e Kathy Bates, oltre allo stesso Clint. Indossa camicia azzurra, cravatta a fiori e un vestito grigio di ottimo taglio. A volte fa fatica a sentire le domande o perde il filo delle risposte ma la sua mente è ben presente. E così il suo senso dell’umorismo.
Perché una tragedia americana?
«Quando qualcuno lavora onestamente e si trova per errore tutta la società contro è un grande dramma da raccontare. Bisogna pensare che il signor Jewell è morto a 44 anni, piuttosto giovane, e tutti gli altri individui coinvolti sono morti prematuramente. Ti chiedi perché, ma poi, alla fine, proprio quando pensi di sapere tutto ti accorgi di non sapere nulla. Più a lungo vivi, più esperienze hai accumulato, più realizzi che hai ancora un sacco da imparare».
E lei, Eastwood, ha vissuto un bel po’, tra un paio di mesi compie 90 anni… Come vede la prossima decade? Ha ancora dei sogni non realizzati?
«Intanto, non sai mai se ci arriverai. Sessanta anni fa, quando ho iniziato a recitare, speravo che la mia carriera sarebbe andata da qualche parte. Ora mi guardo indietro e mi chiedo: perché sono ancora qui? E perché non sto ad osservare altri vecchi da dentro una casa di riposo o qualcosa del genere? Sono stato abbastanza fortunato, forse ho avuto buoni geni da mio nonno. Ma non c’è una risposta nemmeno per questo. Se ci pensi bene, non c’è risposta a nulla».
Sta già lavorando al suo prossimo film?
«Stiamo guardando un paio di cose ma non so bene a che punto siamo. Nel frattempo, mi piace questo film e mi piacciono Paul, Sam, Olivia e Kathy. Sono stati tutti semplicemente fantastici ed è per questo che sono diventato un regista, così non ho bisogno di continuare a guardare me stesso su uno schermo. E sono in una fase in cui sono decisamente stanco di guardare me stesso!».
E’ stato a lungo associato coi repubblicani. Come vede la presidenza Trump?
«Mi fa venire in mente Il buono, il Brutto e il Cattivo. Ogni giorno è una sorpresa ed è interessante. Succede a qualsiasi politico, che si tratti di George W. Bush o di Barak Obama. Tutti fanno cose buone e tutti fanno cose stupide e a volte ti stupisci per quanto possano essere stupide. Io non sono nelle tasche di nessuno e non ho una filosofia particolare. Penso solo di saper riconoscere la stupidità quando la vedo. E di questi tempi ne vedo tanta».
Ci sono molti cambiamenti in corso nel settore dello spettacolo, a partire dalla rivoluzione dello streaming. Qual è il suo atteggiamento?
«Se volessi raggiungere un pubblico più ampio, cercherei di entrare nelle case delle persone. Ma voglio fare film per i quali le persone escono da casa per andarli a vedere. Cosa posso aggiungere? Che sono qui e che è stata una bella vita e che continuerò a cavalcare il mio cavallo immaginario. Fare cinema è un po’ come andare a Las Vegas e scommettere, perché ogni nuovo progetto è una scommessa». 
Qual è il segreto del successo?
«A volte sei a metà strada e ti chiedi: ma ci sarà qualcuno che vuole vedere questa roba? Penso che molto sia dovuto alla fortuna, perché se sei fortunato hai scelto il materiale giusto da trattare. Ma ci sono così tante altre cose in ballo: la produzione, la regia, l’impostazione. Ogni volta è come un gioco diverso e proprio quando pensi di averlo afferrato può mollarti come una patata bollente. O come una donna arrabbiata».