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 2019  novembre 29 Venerdì calendario

Intervista a Cecilia Bartoli

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Sulla copertina del cd ha messo una sua celebre foto con la barba dove la somiglianza con Conchita Wurst è impressionante. In realtà, risale a quando a Salisburgo cantò Ariodante di Händel, ovviamente nella parte maschile del protagonista. Oggi illustra il nuovo album dedicato al più grande cantante di tutti i tempi, Carlo Broschi detto Farinelli: sempre di castrati alla fine si tratta. Lei invece è sempre Cecilia Bartoli, zurighese «de Roma», la cantante lirica italiana più celebre nel mondo e meno invitata in Italia, milioni di dischi venduti, anche direttrice artistica del Festival di Pentecoste di Salisburgo e chi più ne ha più ne citi (o ne invidi).
Lei un disco sui castrati del 700 l’aveva già inciso, Sacrificium.
«Vero. Ma allora mi ero concentrata sul virtuosismo, sulla coloratura, sui funambolismi vocali di queste straordinarie macchine da canto. Farinelli non era solo un eccezionale virtuoso. Aveva un dono più prezioso: l’espressività, quello che Rossini chiamava "il cantare che nell’anima si sente" ed è l’essenza del belcanto. La sorpresa del disco sono le arie patetiche e malinconiche».
A parte che donna barbuta...
«...è sempre piaciuta, si sa ».
Ecco, perché questo look?
«È un gioco teatrale, non senza ironia. Farinelli interpretava sia parti maschili che femminili. Per esempio, in Marc’Antonio e Cleopatra di Hasse, di cui ho inciso una bellissima aria, lui fu Cleopatra. È un teatro dell’ambiguità dove chiunque può essere chi vuole. Infatti in tour porterò in scena un baule speciale, come quelli dove i castrati stipavano gli spartiti dei loro cavalli di battaglia, le famose arie di baule, che si trasforma anche in camerino. L’illusione teatrale, appunto».
In tournée, dove?
«Vediamo... Per ora Baden Baden, Essen, Berlino, Parigi, Bruxelles, Amsterdam...».
In Italia, naturalmente, no?
«Al momento, no. Spero che una data salti fuori presto».
A proposito, il Giulio Cesare della Scala cui ha dato forfait è stato un successo. Rimpianti?
«No. A Milano c’era un progetto händeliano su tre anni che avevo elaborato con Pereira e non aveva senso senza di lui. Infatti l’hanno già modificato cambiando uno dei titoli. Sì, ho sentito che il Cesare ha avuto successo. Mi dicono anche che fosse molto tagliato, che è un po’ strano. Non capisco perché tagliare Verdi sia un sacrilegio e tagliare Händel no».
Insomma, in Italia niente.
«Spiace che a Milano sia andata così. Vuol dire che mi concentrerò su altre mete come Firenze: con un mentore come Pereira farò belle cose lì».
A Pentecoste a Salisburgo canterà un Don Pasquale «versione Viardot». Cos’è?
«L’opera di Donizetti come fu eseguita a Pietroburgo nel 1845, appunto con la diva Pauline Viardot. Per l’occasione, Michael Balfe scrisse un finale alternativo. Gianluca Capuano, che dirigerà, sta studiando le variazioni. Credo che sarà molto interessante».
A Salisburgo fino a quando resterà in carica?
«Altri cinque anni, mi hanno riconfermata per il terzo mandato. Sono come la vecchia della barzelletta romana, che precipita dal quinto piano. Oddio, è morta? No, è rimbalzata sul tetto di un camion. Sì, ma poi sarà morta... No, è finita sul telone di un ristorante. Beh, sarà morta dopo... No, è caduta su un mucchio di rifiuti... alla fine, j’avemo dovuto sparà!» 
Intanto a febbraio c’è una nuova Iphigénie en Tauride di Gluck a Zurigo.
«Sono felicissima di lavorare col regista Andreas Homoki, perché non abbiamo mai fatto niente insieme. Dirigerà Capuano, un grandissimo musicista, per me è una garanzia».
L’album su Farinelli rinforza il suo ruolo di icona gay?
«Beh, se lo sono, mi fa piacere. Credo però che sia legata non a me ma al mio repertorio barocco, di cui l’ambiguità sessuale era una componente». 
Il film le era piaciuto?
«Sì. Diciamo che per l’epoca era un buon film e anche abbastanza informato. E poi ebbe il merito di rendere popolare un grande artista e l’arte dei castrati, trent’anni fa non certo così conosciuti come oggi».
E il film su Pavarotti?
«Mi ha un po’ sorpreso. Quasi tutti parlano in inglese, c’è moltissimo spazio per le popstar e non si vedono mai, letteralmente, Mirella Freni o Leone Magiera con cui Pavarotti ha passato gran parte della vita artistica. Curioso, no?».