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 2019  novembre 12 Martedì calendario

Le tre regole della felicità di Jimmy Villotti per decenni sul palco con Guccini, poi abbandonato per il jazz

«Jimmy Villotti ha in sé le stigmate del genio perché, abilità sovrumana, riesce a incrociare le gambe posando ambedue i piedi per terra…»: lo scrive Francesco Guccini introducendo il libro di Villotti, che è stato per decenni il suo inseparabile chitarrista. Il titolo del volume è strano: Onyricana (Calamaro Edizioni). Ogni capitolo è un ricordo, tra sogno e realtà, di una vita tribolata ma vissuta. «I sogni», dice Villotti, «non hanno né logica né dovere, tanto meno una finalità, forse hanno solo la rappresentazione del paradosso ed è lì che io mi trovo». Lui ha accompagnato nelle loro tournée, oltre a Guccini, Paolo Conte (che ha disegnato la copertina del libro), Gianni Morandi (in prima fila alla presentazione del volume), Vinicio Capossela, Lucio Dalla, Ornella Vanoni.Poi la decisione di chiudere questo capitolo professionale per aprirne un altro dedicato appassionatamente al jazz, anche come compositore. Dice: «Bisogna pur partire per entrare a piene mani nel senso della vita».
Così l’ultrasettantenne Villotti a un certo punto ha deciso di suonare per proprio piacere e non per gli altri (colleghi). Adesso (come Guccini) s’è messo anche a scrivere: «Sapere di musica non è capire di musica. Teoricamente parlando si insegnano regole, si fanno manuali, si ricevono attestati, cose che indubbiamente servono a chi non ha la musica dentro.
Chi ce l’ha non ha bisogno di regole, tantomeno di attestati, non gli occorrono». Il libro è una confessione ma anche un modo catartico di superare depressioni e angosce (che si alternano a gioie e successi) che popolano la vita di un artista che ha fatto del jazz (un genere in Italia ancora elitario, seppure più diffuso d’un tempo) la propria ragione di vita. Ecco allora le pagine quasi oniriche che viaggiano sulle montagne russe, cioè tra sentimenti contrapposti, con citazioni dotte e le tre regole della felicità messe anche in musica: «Avere qualcosa da fare, qualcuno da amare, qualche cosa in cui sperare».