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 2019  novembre 09 Sabato calendario

La città di domani avrà gli occhi

«Occhi sulla strada». Era il 1961 quando l’antropologa e attivista urbana statunitense Jane Jacobs introduceva quest’espressione, destinata a diventare di straordinario successo tra chi si occupa di città. L’idea era semplice: lo sguardo dei cittadini che vivono lo spazio pubblico è alla base della costruzione della civitas, e produce quel delicato equilibrio tra sicurezza e libertà che sta alla base di ogni area urbana vivace e accogliente.
Jacobs usava questo concetto per opporsi alle visioni tecnocratiche di Robert Moses, potente funzionario pubblico di New York le cui azioni urbanistiche e infrastrutturali sconvolsero il tessuto sociale della città americana nel secondo dopoguerra. A quella ricetta, Jacobs opponeva una visione partecipativa e dal basso, capace di partire proprio dallo sguardo dei cittadini.
A distanza di circa mezzo secolo, tuttavia, ci ritroviamo al principio di un nuovo capitolo nella relazione tra la città e i suoi abitanti, che mette prepotentemente in discussione il concetto degli «occhi sulla strada». Nei prossimi anni, grazie ai più recenti progressi della tecnologia e in particolare dell’Intelligenza Artificiale, si completerà uno scenario senza precedenti nella storia: anche lo spazio architettonico acquisirà la capacità di «vedere».
Gli «occhi sulla strada» di Jane Jacobs stanno diventando gli «occhi della città»: una situazione in cui qualsiasi stanza, negozio, piazza o strada sarà in grado di riconoscerci e rispondere alla nostra presenza. I nuovi scenari che si stanno delineando sono sconvolgenti, nel bene come nel male. Da un lato una aborrita città della sorveglianza e del controllo. Dall’altro un mondo in cui lo spazio potrebbe essere capace di rispondere alle necessità dei cittadini in modo immediato e autonomo – un po’ come noi stessi interagiamo gli uni con gli altri.
Questi temi saranno al centro della Biennale di Shenzhen, che aprirà a fine dicembre. Si tratta di una delle principali Biennali di architettura e urbanistica mondiali – di certo la più visitata, con quasi un milione di visitatori stimato per questa edizione. L’iniziativa è nata nel 2005 per raccogliere le migliori idee sulla progettazione delle città, anche per affrontare le sfide dell’area urbana più grande del pianeta: quel «Pearl River delta» cinese in cui Shenzhen forma un continuo urbano da oltre 70 milioni di abitanti con Hong Kong, Canton e Macao.
Gli «occhi della città» ci mettono di fronte a scenari nuovi e difficili da interpretare. Pensiamo ad esempio al riconoscimento facciale: lo usiamo tutti i giorni per sbloccare i nostri telefoni o per fare check-in negli aeroporti (soprattutto in Usa e in Cina). Al tempo stesso, da San Francisco a Hong Kong, si stanno moltiplicando le iniziative di cittadini che si oppongono alla prospettiva di una vita urbana sempre più controllata.
Alla Biennale di Shenzhen, oltre 70 architetti e urbanisti da tutto il mondo, selezionati all’interno di una rosa di circa 300 che hanno presentato le loro proposte, si confronteranno sull’impatto di tutto questo sulla progettazione urbana. Un modo per usare il design, inteso nell’accezione anglosassone di progetto, come strumento di indagine sul futuro e momento di confronto con i cittadini.
Tra le idee in mostra si scorge un filo rosso molto chiaro: innanzitutto la possibilità di «chiamarsi fuori» – permettendo a ciascuno, quando lo desidera, di non essere parte del sistema. Qualcosa di simile a quanto avviene nel mondo digitale con il regolamento GDPR dell’Unione Europea, ma trasportato nella citta costruita. Questo tema farà parte di due bellissime installazioni, rispettivamente dello studio di progettazione olandese MVRDV e del grande architetto cinese Yung Ho Chang.
Un secondo tema è quello della rivendicazione del primato dell’uomo, in grado di «insegnare» alla tecnologia come esaltare gli aspetti migliori della città, tra cui quell’equilibrio tra sicurezza e libertà di cui parlava Jane Jacobs quasi mezzo secolo fa.
Si tratta quindi di chiamare a raccolta tutti coloro che si occupano di città – architetti e urbanisti ma anche sociologi, economisti, ingegneri, informatici e fisici – per piegare le nuove tecnologie alla costruzione della civitas. Un modo per cui gli «occhi della città» diventino non tanto strumento di sorveglianza, quanto un nuovo modo per guardare noi stessi.