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 2019  novembre 09 Sabato calendario

Chi inventò la scrittura? Un libro di Silvia Ferrara

La storia che si narra in questo libro comincia un giorno di primavera del 1986, in una quinta elementare di Milano. La maestra va alla lavagna e scrive le prime tre lettere dell’alfabeto greco. Alfa, beta, gamma. «Quegli scarabocchi sono stati come tagli di coltello. Dopo trent’anni sento ancora lo sfrigolio staccato del gessetto». Lo racconta un’alunna di quella classe che allora aveva dieci anni. Il suo nome è Silvia Ferrara e adesso è professore di Filologia egea all’Università di Bologna. Autrice di La grande invenzione, un bellissimo libro dedicato alla nascita della scrittura.
Quel giorno lontano l’alfabeto greco si stampa letteralmente addosso alla piccola Silvia. Incide il suo immaginario e decide la sua vocazione di decifratrice di segni. Ma anche narratrice di genealogie dello script. Lo dice a chiare lettere il sottotitolo di questo volume,” Storia del mondo in nove scritture misteriose”. Più che un saggio storico è un quasi- racconto sulla più grande invenzione del mondo. Senza la quale saremmo solo voce, sospesi in un continuo presente. È la fissazione in segni grafici ad ancorare l’essere al tempo. Trasformandolo in memoria, valore, sapere, patrimonio, dialogo con gli altri ma anche con sé stessi. La scrittura dà forma codificata alle emozioni e alle sensazioni, al suono e al senso, alla storia e alle storie, reali e irreali, possibili e impossibili che gli umani amano da sempre immaginare, raccontare, scambiare, raffigurare. La comparsa di icone, simboli, disegni che poi diventano segni, lettere, alfabeti scritti, innesca un feedback tra mente e mondo, da cui hanno origine istituzioni e tradizioni.
Ma dove nascono le scritture? Il plurale è d’obbligo perché, secondo Ferrara, l’umanità non ha cominciato a mettere nero su bianco in un solo angolo di mondo. L’invenzione è avvenuta più volte e su binari paralleli e separati. A Creta come in Micronesia, nell’isola di Pasqua come nel Sahara. La Cina ha inventato la scrittura tanto quanto la Mesopotamia e l’Egitto. E allora come nascono? A questa domanda né la filologia né la linguistica possono rispondere da sole.
Occorre una task force di saperi, come quella armata da Silvia Ferrara che va dall’archeologia all’antropologia, dalla percezione visiva agli studi cognitivi, dalla semiotica all’epigrafia, dalla geomatica all’informatica. Fino alle digital humanities. Il suo gruppo di ricerca si chiama Inscribe, acronimo di Invention of Scripts and their Beginnings. E mette a punto strategie di decifrazione innovative. Come nel caso cretese, un labirinto linguistico da cui affiora la prima scrittura d’Europa. Forse sul modello dei geroglifici egiziani. O per effetto di un’invenzione autonoma. Sta di fatto che i sudditi di Minosse sono andati oltre i simboli, le icone e hanno elaborato un sistema di segni astratti. Che in realtà sono delle astrazioni concrete, come nel caso della sillaba mache corrisponde all’immagine di un gatto. E che discende probabilmente dal verso del felino, più o meno lo stesso in tutte le lingue. Miao italiano, miaou francese, meo indocinese, myau russo. «Se io fossi un gatto minoico – si chiede ironicamente l’autrice – che cosa farei? La risposta è un bel maaaa».
Ma la lingua non serve solo a comunicare, a computare, a classificare, a registrare. Serve anche ad” infighettare” persone e cose. È il caso dell’antica scrittura cipriota, di derivazione cretese e ricca di enigmi come le biglie d’argilla che recano iscrizioni brevissime, uno o due nomi. Con” pragmatico buonsenso” l’autrice le paragona alle pallette estratte per accoppiare le squadre nei sorteggi della Champions. Dalle misteriose sferette affiora in realtà la nomenclatura dell’isola, dove le alte cariche venivano sorteggiate.
Come dire che la scrittura produce plusvalore sociale, soft power, serve a impreziosire le cose su cui compare trasformandosi in contrassegno di potere. Lo aveva capito bene il capo Nambikwara che negli anni Trenta, vedendo il grande antropologo Claude Lévi- Strauss prendere appunti, si fece regalare penna e taccuino e dall’alto del suo analfabetismo, si mise a tracciare scarabocchi che ne accrebbero ulteriormente il prestigio presso la sua tribù. Saggio e non selvaggio, l’Indio aveva compreso che la scrittura è un moltiplicatore magico. Che trasforma la potenza primigenia dell’immagine in dialogo silenzioso, contratto sociale a rilascio lento, emozione condivisa, faccia a faccia in remoto. È per questo che noi, figli maturi della scrittura, abbiamo inventato gli emoji. Perché, conclude Silvia Ferrara, «finché ci saranno emozioni ci saranno lettere scritte. Lettere vive».