il Giornale, 9 novembre 2019
Il digiuno ci salverà?
Mangiare meno per vivere di più. Portando all’estremo il ragionamento il segreto della longevità risiede nel digiuno. Ma non è una novità: «è già stato scritto nella Bibbia che uomini giovani e sani digiunarono per 40 giorni senza conseguenze» scherza Guido Kroemer, professore alla Facoltà di Medicina dell’Università di Paris Descartes, direttore del team di ricerca «Apoptosis, Cancer and Immunity» del French Medical Research Council (INSERM) e direttore del «Metabolomics and Cell Biology platforms of the Gustave Roussy Comprehensive Cancer Center», oggi vincitore del premio «Lombardia è ricerca» per la sua ultima scoperta scientifica sull’estensione della longevità mediante induzione dell’autofagia mediata dalla restrizione calorica.
L’autofagia è il meccanismo con cui le cellule del nostro corpo identificano al proprio interno i «rifiuti», cioè i meccanismi e le funzioni ormai vecchie ed alterate, eliminandole in modo selettivo così da liberare materiale utile per ricostruire nuove strutture. Kroemer paragona l’autofagia al processo di riciclaggio: «Per riciclare un prodotto lo si deve distruggere, scomporre per ricavarne gli elementi di base che saranno utilizzati per costruire un materiale nuovo». Sottoponendo il fisico a stress, fisico o calorico, il nostro organismo si rigenera. Allo stesso tempo questo meccanismo permette la distruzione delle cellule cancerose.
Una premessa fondamentale: esistono due tipi di longevità, quella «assoluta» cioè quanto tempo passa prima della morte e il tempo che si trascorre in buona salute. Bene: c’è un intervallo tra i due tempi che corrisponde alla malattia cronica. La ricerca sull’invecchiamento dovrebbe avere come obiettivo quello di trovare gli strumenti per allungare ambedue i tempi, cioè far in modo che il tempo di malattia cronica si accorci.
Da un punto di vista «tecnico» il biologo sostiene che l’autofagia allunga la vita e dall’altra parte previene l’insorgenza del cancro. «È quasi lo stesso meccanismo – spiega Kroemer – il tempo cronologico segue una costante fisica, il tempo biologico si può rallentare o frenare attraverso l’autofagia. Noi possiamo dilatare quest’ultimo e fare in modo che le malattie si manifestino più tardi. Il fattore di rischio più importante di quasi tutte le malattie è il tempo biologico quindi quando si ottiene un aumento della longevità si ottiene automaticamente una riduzione del rischio di mortalità cardiovascolare, oncologica, neurodegenerativa perché tutti questi fattori sono collegati». La chiave di volta è l’alimentazione, che ha fortissimo impatto sul tempo biologico.
Gli italiani sono secondi al mondo per aspettativa di vita con un’età media di 82 anni, dopo il Giappone, seguiti dalla Spagna, «merito della dieta mediterranea». «Basata su frutta e verdura, è ancora una dieta in cui si rispettano i tempi dei pasti, in cui si elaborano ricette complicate, l’esatto contrario del fast food, che inibisce il meccanismo dell’autofagia. C’è un però: non bisogna eccedere con l’assunzione di carboidrati, o meglio vanno evitati il più possibile, come del resto i dolci e gli zuccheri aggiunti e poi bisognerebbe allungare i tempi tra i pasti» spiega il biologo. Il grande oncologo Umberto Veronesi, cui è dedicata questa edizione del premio, sosteneva che la dieta vegetariana aiutasse a prevenire i tumori. «La carne ha un ruolo ambiguo in questo gioco, se si può evitare o consumarne al massimo una volta alla settimana è meglio, il pesce si può consumare volte tre volte a settimana o più».
Nel dubbio, meglio digiunare.... «Bisognerebbe allungare l’intervallo tra un pasto e l’altro, cioè saltarne qualcuno: il fenomeno dell’autofagia si può misurare dalle 18 alle 24 ore di digiuno quindi relativamente poco tempo perché ricordiamo che un adulto sano resiste al digiuno completo, bevendo acqua, 40 giorni senza conseguenze a lungo termine per la salute». Questo meccanismo può essere indotto anche dall’esercizio fisico: bisognerebbe fare mezz’ora di attività fisica non intensa tutti i giorni. Bruciando energia si stimola la produzione di metaboliti che possono essere utilizzati per i circuiti bioenergetici. In sostanza per autorigenerarsi il nostro fisico deve essere sottoposto a stress.