il Fatto Quotidiano, 9 novembre 2019
Biografia di Lorenzo Guerini
Ricordate di aver mai visto Lorenzo Guerini, l’attuale ministro della Difesa, accapigliarsi in un talk show? Ma in generale: avete mai visto Lorenzo Guerini? Le teche Rai conservano video-epifanie fugaci tipo Prima Repubblica e un’ospitata del maggio 2018 a Porta a Porta, un tête-à-tête di mezz’ora con Vespa da deputato semplice a discettare dell’accattivante tema, poi obliterato dalla realtà, “Il Pd e il governo gialloverde”. Capelli grigi all’umberta, eloquio in pelle di daino, accento notarile-lodigiano (nessuna asperità, nessuno spigolo, molti “io credo” detti col tono di chi se avesse tempo di credere non starebbe dove sta), Lorenzo Guerini incarna l’ineffabile anima democristiana del Pd.
Di lui si sanno poche cose oltre l’astratta laconicità del curriculum, facilmente reperibile online (una mezza paginetta in Pdf nel sito di Riparte il futuro, uno degli inutili addentellati digitali di Renzi). Lodigiano, laureato, sposato, automunito.
Sindaco di Lodi per due mandati dal 2005. Riesce a schivare il caso Gianpiero Fiorani, stimatissimo sportellista della Banca Popolare, che per Guerini “porta il nome di Lodi nel mondo”, almeno fino a che non lo arrestano per associazione a delinquere, truffa e appropriazione indebita (“È un pugno nello stomaco”). A quel tempo Lorenzo è presidente di Anci Lombardia: è in questa veste che conosce Matteo Renzi, l’ancora innocuo sindaco di Firenze col pallino di rottamare il Pd.
Lorenzo, che di lavoro fa l’agente assicurativo, ne è ragionatamente attratto. Superando il deficit di non essere toscano, conquista Matteo con la meno renziana delle doti: la riflessione. Viene eletto alla Camera. È accanto a Renzi quando questi vince le primarie del 2013; diventatone portavoce, riceve dalle sue mani la carica di vicepresidente del Pd, in tandem con Debora Serracchiani. La cosa avrebbe schiantato chiunque; non Lorenzo, che, come la talpa di Marx, scava per salire.
Cardinalesco, non ciarliero, civile, dunque renziano atipico, Guerini – che Renzi chiama “l’Arnaldo” (per Forlani) – ascende al potere per centimetri, mai per strappi. In quel 2014 di perdizione, se Verdini è il dilatatore dell’operazione Nazareno, Guerini ne è il lubrificante. Una vita da mediano, da pontiere tra Renzi e resto del mondo (in merito all’elezione di Mattarella, alla candidatura di Martina, alla segreteria di Zingaretti, al Conte 2, persino al manifesto di Calenda, per “sollecitare energie”). Le cronache devono contentarsi di chiamarlo “il Gianni Letta di Renzi”, a dirne l’elusività; ma Guerini è anche altro: è il ceto medio dentro un partito ex popolare poi elitario; è un’iniezione di industrioso cattolicesimo di provincia nella capitale espugnata; è uno che parla come Andreotti dentro una combriccola di digitali compulsivi, tipo i bancomat in latino nel cuore di Roma, a Città del Vaticano.
Nel marzo 2018 Renzi vuole tantissimo il Copasir (almeno quanto avrebbe voluto la Cybersecurity, da affidare a Marco Carrai), dove vede bene il discreto Luca Lotti o addirittura Maria Elena Boschi. Prevale il buon senso. Alla Leopolda l’annuncio, che è zampata proprietaria: “Oggi posso realizzare il sogno della mia vita e fare il conduttore: fate un applauso a Lorenzo Guerini che adesso è il presidente del Copasir!”.
Il saper-fare, i modi geometrici cartesiani e l’impersonalità assurta a stile gli valgono una menzione di Conte in piena crisi di governo: “L’unico esponente dell’opposizione che ho sentito o incontrato è stato Lorenzo Guerini”. A differenza della Trenta, lui piace ai generali.
Nell’interregno che anticipava l’autocombustione del Pd, Guerini non si schierò mai a favore di una corrente, né della “ditta”, né del metaforico (?) lanciafiamme neutralizzante. Oggi guida con Luca Lotti la corrente pseudo-oltre-renziana Base Riformista. Sarebbe, questa Base Riformista (1727 fan su Facebook e un’ottantina di parlamentari), un progetto per “rilanciare il Pd”, e non si pensi che a ciò osti il fatto che uno dei due leader si sia auto-sospeso proprio dal Pd. Come dice il portavoce di Br Andrea Romano, la corrente – lanciata due giorni dopo la Leopolda 2019 – è nata per “dare stabilità al governo”, e qui i ricettori dell’opportunità vanno in tilt, se si pensa che i suoi aderenti sono (stati) tutti arditi renziani (Marcucci, Morani, Faraone, Fiano, etc.), i quali oggi, con destrezza da gattopardi, non seguono l’avventuriero in Italia Viva, ma restano nel Pd, che ancora rantola un poco, forse a finire il lavoro.
Nella mitopoiesi renziana Guerini è un esecutore. Supplisce con metodo e controllo al marasma dei pasticcioni. L’anno scorso pure lui riteneva che gli elettori lo volessero all’opposizione: mai #senzadime sguaiato à la Scalfarotto, si è ritrovato con agio ministro coi grillini.
Un piccolo mistero ci intriga: il 27 dicembre del 2007 (governo Prodi) gli è stato dato il titolo di Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica. Dice il Quirinale: “A nessuno può essere conferita, per la prima volta, un’onorificenza di grado superiore a quella di Cavaliere”, e quella di Ufficiale lo è, la gerarchia essendo, a scendere: Cavaliere di Gran Croce decorato di Gran Cordone, Cavaliere di Gran Croce, Grande Ufficiale, Commendatore, Ufficiale, Cavaliere. “Fanno eccezione alcune situazioni particolari”. Non risulta che Guerini sia mai stato Cavaliere: deve aver meritato la ricompensa eccezionalmente, per “benemerenze acquisite verso la Nazione nel campo delle lettere, delle arti, della economia e nel disimpegno di pubbliche cariche e di attività svolte a fini sociali, filantropici ed umanitari, o per lunghi e segnalati servizi nelle carriere civili e militari”. Aggiorneremo freneticamente la pagina Facebook di Base Riformista in attesa di delucidazioni, o – se del caso – del conferimento del Gran Cordone.