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 2019  novembre 09 Sabato calendario

Chi può comprare l’Ilva?

Qualcosa si sta muovendo attorno al futuro del gruppo siderurgico che ha a Taranto il più grande centro di produzione dell’acciaio in Europa. Risulta al Corriere della Sera che è stata riaperta la dataroom dell’ex Ilva da parte di Intralinks, la società che ha l’incarico di custodirla. E l’apertura di una dataroom che custodisce tutti i dati più sensibili di un’impresa è possibile solo quando c’è una nuova offerta di acquisto o di affitto degli impianti, anche non vincolante. Più difficile capire chi abbia espresso il proprio interesse, dopo che il gruppo indiano Jindal si è chiaramente chiamato fuori ieri. Jindal a suo tempo aveva presentato un’offerta per Ilva insieme a Cassa depositi e prestiti, il gruppo Arvedi e alla finanziaria Delfin di Leonardo Del Vecchio. Era però prevalsa l’opzione dell’alleanza fra Marcegaglia e Arcelor Mittal.
Adesso si tratta di verificare se possa formarsi una nuova cordata in cooperazione fra un investitore estero e soggetti italiani. Fabrizio Palermo, amministratore delegato di Cassa depositi e prestiti, ieri ha cancellato un roadshow che lo avrebbe visto impegnato la prossima settimana negli Stati Uniti. È certo che in Cdp in questo momento non ci sia alcuna preparazione in corso a un’operazione su Ilva. Altrettanto certo è che in alcuni ambienti di governo, soprattutto nel Movimento 5 Stelle, l’opzione di un intervento di Cassa venga esplorata attivamente in queste ore; nella stessa Cdp si sono interpretate in questo senso anche le parole del premier Giuseppe Conte, quando giovedì ha detto che il governo sta esplorando «tutte le opzioni possibili». Ieri peraltro l’ad di Intesa Sanpaolo, Carlo Messina, ha riconosciuto che il governo ha un ruolo da giocare: «L’opzione numero uno resta un accordo con Mittal ma se non siamo in grado di raggiungerlo, allora bisogna passare al piano B, valutando anche una nazionalizzazione per non perdere un asset strategico». Potrebbe poi esserci anche un piano C, quello della scissione: una parte dell’ex Ilva resta ai Mittal, mentre un’altra torna alla gestione dei commissari.
Sulla strada di un eventuale coinvolgimento di Cdp restano seri ostacoli. Il primo è di natura tecnica: Cassa depositi non partecipa a nazionalizzazioni di imprese e non può investire in aziende in perdita. Cdp dovrebbe presentarsi in cordata almeno con un investitore privato. Per vie informali si stanno moltiplicando da parte del governo i contatti con il mondo dell’acciaio italiano, per sondare la possibilità di un coinvolgimento almeno sul piano industriale. Se un’operazione del genere prendesse corpo, Cdp non investirebbe nell’azienda e non se ne accollerebbe i debiti, ma rileverebbe dall’amministrazione straordinaria dei commissari di governo alcuni suoi attivi – soprattutto gli impianti – sulla base di un dettagliato piano industriale. 
Ma soprattutto c’è un ostacolo politico. A ieri i due azionisti di Cdp – il ministero dell’Economia all’82,7% e le fondazioni al 15,9% – non sono affatto d’accordo sull’intervento nell’ex Ilva. Parte del governo e della maggioranza lo è. Ma quest’area non include la leadership del Pd, del tutto allineata con il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri. La strada verso un salvataggio dell’acciaio di Taranto ad opera della banca di sviluppo dello Stato resta lunga, tortuosa e per niente scontata.