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 2019  novembre 09 Sabato calendario

In morte dei Fred Bongusto

Gino Castaldo, la Repubblica
L’eleganza era lì, irrinunciabile, anche quando bisognava cantare l’euforia estiva degli italiani in vacanza. Per lui al massimo poteva essere Una rotonda sul mare, ballare sì, ma possibilmente un lento, languido e carezzevole, niente yé yé e dozzinali hully gully da spiaggia. La vocazione del resto la portava già nel nome, Alfredo Buongusto, ma fu perfezionata stringendo il nome a Fred, più diretto e più “americano”, e togliendo una “u” al cognome perché alla fine Bongusto forse suonava meglio. La rotonda sul mare, dove “vedo gli amici ballare ma tu non sei qui con me”, era una delle migliaia di rotonde a bordo mare dove l’Italia oltre alle vacanze stava scoprendo i 45 giri, i juke box, le avventure stagionali e la folgorante velocità di canzoni che riuscivano a racchiudere un mondo intero in tre minuti. Gli amori si potevano addirittura sintetizzare in poche semplici strofe come in Tre settimane da raccontare, con quella disinvoltura che piaceva tanto alla nuova borghesia che si era formata intorno al boom economico. Era una borghesia che cercava identità e distinzione, che amava molto rispecchiarsi in canzoni emancipate, moderne, ma sussurrate con garbo e discrezione, senza furori e trasgressioni en travesti. Una storia d’amore poteva anche vivere e concludersi nel ristretto giro di una ventina di giorni, senza che nessuno si scandalizzasse. Altro che amori eterni. Malizia sì, ma con decenza. “Amore fermati” cantava il raffinato Bongusto, “questa sera non andartene”, e quindi si parlava di un’avventura in corso, forse l’avventura di una sola notte, un’ammissione di spigliata modernità che aveva bisogno di essere compensata e allora arrivava il tocco di classe: “c’è un’orchestra tra le nuvole, la tua canzone suonerà”. Cosa non s’inventerebbe per trattenere una donna.
Fred Bongusto, morto ieri a 84 anni dopo una lunga malattia (i funerali a Roma lunedì alle 15, nella Chiesa degli artisti in piazza del Popolo), era soprattutto un crooner, un cantante confidenziale come si diceva all’epoca, traducendo alla meglio il termine americano che era una parolina da quattro soldi ma che rendeva bene l’idea già nel suono. Il crooner all’italiana lo faceva benissimo, con la dovuta ironia, e l’obbligo del napoletano, vedi Doce Doce, che ai tempi era la lingua internazionale del night club, e che lui pronunciava piuttosto bene, con solo una punta lieve di residuo molisano, anzi di campobassese, la cadenza della città dove era nato nel 1935. Se proprio doveva scatenarsi, lo faceva in chiave jazz, per cantare di “Spaghetti, pollo, insalatina e una tazzina di caffè” e chissà poi perché questa spaghettata con l’agognata Lola si svolgeva a Detroit, forse perché agli italiani l’America è sempre piaciuto sognarla, in tutte le possibili chiavi. Cantava con le finali spalancate, quelle”a” ed “e” molto aperte a fine verso che erano un suo marchio di fabbrica e facevano la gioia dei suoi numerosi imitatori. Era l’eroe supremo di un certo stile della canzone italiana coltivato all’ombra protettiva dei locali notturni, fondamentale scuola per gli intrattenitori “confidenziali”, quelli che dovevano sussurrare frasi romantiche, stuzzicare malizie di coppie spesso illegittime, avvolgere tutto di morbide fantasie e non urlare troppo per non impedire che si potesse dire qualche parolina mentre si ballava o si cenava al lume di candela ascoltando musica dal vivo. Arte umile e preziosa che del resto ha prodotto capolavori, se solo pensiamo a Estate di Bruno Martino, che ha fatto il giro del mondo. La stessa scuola dalla quale uscirono Nicola Arigliano e Peppino Di Capri, grande amico di Fred, col quale ha spesso unito le forze sul palcoscenico e che ieri lo ha ricordato così: “Anche il mio amico Fred se n’è andato in punta di piedi...Oltre alla sincera amicizia, ci legava l’amore per il nostro lavoro, ci uniscono tanti momenti dei tempi in cui inseguivamo il successo in quel mondo sempre in evoluzione, difendendo lo stile ’night’ che man mano si affievoliva”.
Di questa magia tutta italiana si accorse il maestro João Gilberto. Dopo aver già scoperto e lanciato nel mondo Estate, in uno dei suoi rari dischi di studio, inserì nel 1991 la delicatissima Malaga.
“Il mio amore è nato a Malaga” diceva la canzone “il mio cuore resta a Malaga, in quella casa dal patio antico, quante dolcezze ti ho sussurrato” niente di più niente di meno, più che parole erano piccoli tocchi messi lì come pennellate in un quadro a colori pastello. Ma l’elegante semplicità di questo pezzo riassume perfettamente il fascino discreto di Bongusto. Successi a parte, il suo repertorio nasconde fantastici gioielli tutti da riscoprire. Uno per tutti la sua versione di Stardust.
Cercatela col titolo italiano di Polvere di stelle. Nella sua strepitosa rivisitazione a tempo di lento swing con spazzole e pianoforte, il pezzo si trasforma in una perfetta ballata in dialetto napoletano e la scintillante polvere dell’originale americano diventa: “tu tien’ a polvere di stelle, e je rest’ ‘cca, povero Dio”. Da Frank Sinatra alla commedia all’italiana. Com’era giusto che fosse.

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Mario Luzzatto Fegiz, Corriere della Sera
L’artista di «Una rotonda sul mare», «Spaghetti, insalatina e una tazzina di caffè» era sparito da anni. Colpito da quella che è la peggior punizione per un cantante: la sordità.
Nel corso dei decenni centinaia di coppie hanno confessato di essersi innamorate ballando guancia a guancia «Una rotonda sul mare» cantata da Fred Bongusto, grandioso interprete e musicista romantico, stile da crooner, la cui marcia in più rispetto a coetanei come Nicola Arigliano, Teddy Reno, Emilio Pericoli e Peppino di Capri (un’amicizia che portò anche ad un’alleanza artistica) era il legame stilistico col Sudamerica. Legame che lo portò a collaborare, tra gli altri, con artisti come Vinícius de Moraes, Antônio Carlos Jobim e João Gilberto, dei quali, nel repertorio sussurrato e accattivante di Bongusto, figurano classici come «Garota de Ipanema», «A Felicidade», «Samba de Orfeo». I suoi modelli artistici erano Gershwin, Louis Armstrong e Nat King Cole. Fu amico e incrociò la sua carriera anche col jazzista Chet Baker.
Nato a Campobasso il 6 aprile 1935, visse gran parte della sua vita, quando non era in tour, a Sant’Angelo d’Ischia, solcando il mare col suo entrobordo Riva, un gioiello tutto di legno pregiato.
Inizia a suonare la chitarra in piccoli locali. Il debutto discografico avviene negli anni del boom economico. E degli anni Sessanta è rimasto il simbolo con brani come «Spaghetti a Detroit», «Accarezzame», «Frida», «Malaga» (incisa anche da João Gilberto). E nel decennio successivo con le colonne sonore di vari film come Matrimonio all’italiana, Malizia, Un dollaro bucato e Fantozzi contro tutti. Dopo due apparizioni nel 1965 («Aspetta domani») e nel 1967 («Gi»), nel 1986 partecipa a Sanremo con «Cantare» e tre anni dopo torna con «Scusa». Il Festival, ha annunciato ieri il conduttore e direttore artistico Amadeus, gli dedicherà un tributo.
Nella sua lunga carriera Bongusto ha frequentato molti generi musicali, sempre restando un italiano caldo, melodico e confidenziale. La sua versione di «Guarda che luna» resta un capolavoro di classe e atmosfera. «Tre settimane da raccontare» è ancor oggi un simbolo dell’estate anni Settanta. I suoi dischi avevano copertine allusive non sempre di... buon gusto: ad esempio la nudità femminile esagerata di «Lunedì» del 1979. Fra i momenti migliori della sua carriera, l’alleanza artistica con l’amico-rivale Peppino di Capri nell’agosto 1995. Nello show, tenutosi nel porto di Sant’Angelo, Bongusto dette fondo a tutto il suo vasto repertorio romantico: «Amore fermati», «Tre settimane da raccontare», «Sei bellissima»,«Indifferentemente», «Frida», «Non dimenticar» e, in duetto con di Capri, «When I Fall in Love» di Nat King Cole, punto di riferimento comune fra i due. Sempre nel ‘95, Fred incise a sorpresa un brano, scritto con Califano, che era una invettiva violentissima contro i cantautori. Titolo: «Ma dove sei...», che cominciava così: «Un insulto lungo una vita, una maschera da poeta senza mai esserlo/ Generoso, ma solo a patto che un fotografo col suo scatto fissi la tua bontà... che fine hai fatto cantautore, non hai più niente da raccontare». E in una intervista al Corriere rincarò le dosi attaccando Guccini, Bob Dylan, ma soprattutto De Gregori: «Da musicista ho sempre considerato vergognoso il livello delle canzoni lanciate da questi signori. Prenda ad esempio uno dei più grandi successi di De Gregori, “Buonanotte Fiorellino”. È musicalmente banale, elementare. Un’offesa a chi come me ha vissuto per 30 anni di musica vera, quella che ha spessore, dura nel tempo e non ha bisogno di sponsor politici». De Gregori replicò pacatamente spiegando che era un errore «dividere la musica per generi e compartimenti stagni».
Curiosa e semplice la vita sentimentale di Bongusto. Si era sposato con l’attrice Gabriella Palazzoli (mancata quattro anni fa), dalle cui prime nozze con l’attore americano John Drew Barrymore era nata una bimba, Blyth Dolores Barrymore. Bongusto l’ha cresciuta come se fosse sua figlia, dandole anche il suo cognome. È stata lei ad accudirlo fino alla fine.