la Repubblica, 9 novembre 2019
Bloomberg e Warrenn allo scontro
«Farà del male a Biden. In quanto a me, sarei felice di battermi col Piccolo Michael». Donald Trump liquida con sarcasmo la notizia che il suo concittadino Michael Bloomberg, ex sindaco di New York, sta per scendere in campo per la nomination democratica. Gli ha già affibbiato il nomignolo sprezzante come ama fare lui. Se mai dovessero incontrarsi in finale, la bassa statura di Bloomberg sarà evidente nei duelli televisivi. Anche se in termini di ricchezza, il nano è Trump: il suo patrimonio personale (accuratamente nascosto ai cittadini) non arriva a un decimo di quello di Bloomberg, superiore ai venti miliardi di dollari. E in quanto a nomignoli, Little Michael parlando alla convention democratica del 2016 – quella che incoronò Hillary Clinton – demolì la figura imprenditoriale di Trump definendolo «un Con Man, truffatore di mezza tacca, losco figuro che noi newyorchesi conosciamo bene». Bloomberg rappresenta l’altro volto del capitalismo americano: mecenate progressista, filantropo alla Bill Gates, da primo cittadino investì nel verde pubblico e nelle piste ciclabili, guidò una coalizione mondiale di sindaci per combattere il cambiamento climatico. Miliardario liberal contro miliardario-canaglia; 77enne contro 73enne; gara tra newyorchesi; e tra due outsider della politica nessuno dei quali viene dai ranghi del partito in cui si candida: sarebbe un duello ricco di paradossi.
Trump vede giusto però quando analizza la notizia della quasi-candidatura di Bloomberg come un colpo per Joe Biden, l’ex vice di Barack Obama. Per la precisione, l’ex sindaco di New York ha predisposto le pratiche per inserire il suo nome sulle schede elettorali delle primarie democratiche in alcuni Stati dove la scadenza per iscriversi è vicina, come l’Alabama. Non c’è ancora nulla di sicuro. Però il segnale è chiaro: sfiducia verso gli altri candidati democratici. Un anno fa Bloomberg aveva già esaminato l’ipotesi per poi accantonarla. Diversi dubbi lo avevano trattenuto. Da un lato il timore di essere troppo “newyorchese”, cioè radical chic: ambientalista, favorevole agli immigrati, ma anche legato al mondo della finanza (i terminal della sua società sono usati dalle banche per operare sui mercati oltre che per avere quotazioni e notizie). E poi ebbe il timore che la sua candidatura potesse dividere i democratici più che mobilitarli. Bloomberg rappresenta un mix controverso di liberismo economico, moderatismo fiscale, posizioni radicali sui temi valoriali (contro le armi, per il diritto al matrimonio gay ecc).
Cos’è cambiato, per indurlo ad accantonare le riserve? Innanzitutto c’è un impeachment che rischia di danneggiare Biden, il moderato per eccellenza, per il suo coinvolgimento nel Kiev-gate. Ancor più di recente c’è l’effetto Elizabeth Warren. I maligni diranno: con la Warren in testa nei sondaggi e la sua proposta di tosare le grandi fortune con una maxi- patrimoniale del 6% annuo, il miliardario Bloomberg vuole difendere i propri soldi. In realtà lui la ricchezza la usa per fare filantropia, la patrimoniale (se mai dovesse entrare in vigore) dirotterebbe verso il Tesoro una parte di quel che il mecenate sta donando – per esempio – all’università Johns Hopkins di Baltimora per la ricerca medica. L’effetto Warren è un altro: il timore che l’ascesa della senatrice del Massachusetts sia il preludio di una débâcle. Da quando la Warren ha esplicitato le sue proposte più “socialiste”, come il sistema sanitario pubblico e universale a cui lei stessa attribuisce un costo di transizione da 20mila miliardi di dollari in un decennio, un pezzo di America moderatamente progressista è nel panico; mentre la destra esulta. Gli opinionisti conservatori gongolano: contro una socialista che promette di espropriare i ricchi e dissanguarli di tasse, la rielezione di Trump a un secondo mandato sarà una passeggiata. Bloomberg sta convincendosi di dover salvare i democratici da una sconfitta.
Quali effetti può avere una sua partecipazione alle primarie? Rappresenterebbe l’alternativa moderata a un Biden in declino. Potrebbe anche attrarre una fascia di moderati repubblicani, quelli che un tempo si riconoscevano in Mitt Romney o Bush (più padre che figlio). Più problematico invece l’appeal verso i metalmeccanici del Michigan, i neri, i giovani innamorati del socialismo alla Warren-Sanders.