Libero, 8 novembre 2019
Intervista a Fabio Volo
Il pubblico lo adora. La critica decisamente meno. Lui, a conti fatti, pare che se ne freghi. Fabio Volo tira dritto perché, più che compiacere, vuole spaziare tra i generi e giocare con i linguaggi. Proprio la voglia di innovare lo ha portato a cimentarsi con un doppiaggio audace: è la voce narrante di Ailo. Il film, in sala dal 14 novembre, è un documentario pensato per sensibilizzare i bambini sul mondo animale e sull’emergenza climatica. Al centro, il viaggio tra i ghiacci di un piccolo cucciolo di renna.Si dice che le nuove generazioni siano molto sensibili alle cause ecologiche.
«Speriamo che duri. All’epoca anche i NoGlobal con Manu Chao ci sembravano una gran cosa e poi, alla fine, abbiamo detto: “Manu, ciao!”».
Qui però saremmo davanti a un cambio di mentalità.
«In realtà è un cambiamento che arriva dall’alto: è una questione di business, più che di sensibilità. Siamo in un’epoca consumistica e molte aziende, prima di Greta, hanno intravisto un business, iniziando a investire sul Green. A noi consumatori piace perché comprare prodotti bio ci fa sentire meno in colpa».
Ma alla fine chi è più insensibile alla causa: i cittadini o i politici?
«Su certi temi una parte di italiani è più avanti dei politici. Chi ci governa sta però attento a parlare, perché cerca il consenso. Vale per tutti, sia destra che sinistra».
Per questo c’è chi ha proposto di togliere il voto alle persone più anziane?
«Non ho mai capito questi distinguo anagrafici, nemmeno quando si dice “Fate largo ai giovani” o “Fate largo alle donne”. Io direi: “Largo ai bravi!”. Non penso che Renzo Piano valga meno di un 20enne poiché anziano. Quanto al voto, al massimo farei distinzione tra persone informate e non: se serve la patente per il motorino, è giusto che chi va a votare sia minimamente preparato».
Dovrebbe valere in primis per chi governa.
«Chi governa conta poco: i poteri forti che decidono sono altri e quando entri in certi meccanismi o ti adegui o sei fuori. Non si possono cambiare le regole».
A proposito di «largo ai bravi», il suo nuovo libro Una grande voglia di vivere spopola ma lei sta ancora sulle scatole a parecchia gente. Come se lo spiega?
«Dà fastidio proprio il fatto che io venda sempre oltre 1 milione di copie. Per questo tutti mi aspettano al varco. Quando feci il programma su Rai Tre (Volo in diretta, ndr), scrissero che fu un flop. Mi sostituirono con Gazebo che faceva meno ascolti, ma nessuno ha più detto niente. Comunque le critiche sono colpi a salve: non mi feriscono perché i giornalisti non sono una comunità che frequento o alla quale voglio appartenere. Io parlo alla gente: è da lì che vengo».
Peggio i critici o gli haters?
«Il disagio è lo stesso: se la società ti impedisce di esprimerti, costruisci la tua identità dando un giudizio sul lavoro altrui. Non è invidia ma mancanza di espressione».
Ultimamente, dai libri ad Untraditional, lei gioca a mischiare finzione ed esperienze personali. Non teme di risultare autoreferenziale?
«No: parlo di me per parlare degli altri. La mia esperienza è solo uno spunto, che poi amplifico. La riprova è che in passato mi chiesero di scrivere la mia autobiografia ma rifiutai».
Quando tornerà in tv?
«Sto sviluppando una serie ispirata ai miei libri. Avrei qualche idea per nuovi programmi di intrattenimento ma da quando in tv i manager hanno sostituito gli imprenditori non mi riconosco più nelle logiche di lavoro. Io voglio innovare».
Come Fiorello?
«Fiorello fa Fiorello. È bravissimo e usa, da n° 1, tutti i suoi talenti ma la grammatica di cui si avvale è quella di Alighiero Noschese. Io vorrei sperimentare linguaggi nuovi».