Libero, 8 novembre 2019
Nei Pronto Soccorso arrivano i medici a partita Iva
Codice rosso, codice giallo: ma soprattutto, codice Iban. Ché adesso stetoscopio e partita Iva vanno a braccetto. Sono sempre di più, infatti, i medici italiani che il camice bianco lo indossano solo come liberi professionisti. Ospedali e Asl dello Stivale li chiamano a gettone, dove capita capita e loro, prima di uscire dalla porta di servizio del pronto soccorso, rilasciano regolare fattura. Le tariffe variano in base alla prestazione richiesta, non è mai la stessa. «Non esiste un vero e proprio censimento nazionale – spiega all’Ansa Carlo Palermo, segretario del sindacato Anaao-Assomed che riunisce i medici dirigenti, – ma ce ne sono migliaia in tutta Italia, si concentrano soprattutto nel Piemonte, nel Lazio, nel Veneto, in Campania e in Sicilia». Il perché è presto detto: i dottori strutturati, quelli in servizio e regolarmente assunti dai nosocomi, scarseggiano. In effetti è storia risaputa, tra un po’ le nostre corsie saranno più deserte del Sahara. Già oggi, nelle sale per l’emergenza, mancano oltre 2mila medici. Gli addetti ai lavori stimano che, entro il 2025, la carenza sarà di almeno il doppio. A Napoli e dintorni, in sei anni, verranno meno addirittura ottocento dottori. Amenoché non ci si aiuti con quelli che si possono definire free-lance del bisturi. Categoria bistrattata, quella dei liberi professionisti. Mica solo al policlinico. Zero ferie retribuite, tfr manco a parlarne. E però senza di loro crolla mezzo Paese (di nuovo, mica solo al policlinico). Tra una tac e una visita specialistica, spopolano anche i dottori col regime forfettario.
IL CASO DEL LAZIO
«Il loro numero è cresciuto negli anni – conferma Palermo, – perché in questo modo le aziende sanitarie aggirano il blocco delle assunzioni». Un grande classico. Le infornate contrattuali le vedono con il binocolo anche i giovani medici. E allora, pur di lavorare, si buttano sulla partita Iva. Che è poi sempre un modo per sbarcare il lunario. Precari della ricetta. A Latina e Frosinone due medici su dieci sono “esterni” alla clinica nella quale operano, a Viterbo toccano addirittura quota 42%. Tra non molto, se continua così, saranno loro la maggioranza. E i sanitari di turno delle mosche bianche. Una convenzione col Servizio sanitario nazionale, qualche giro di carte all’Agenzia delle entrate, l’iscrizione alla cassa previdenziale di riferimento (cioè l’Enpam, l’Ente nazionale di previdenza e assistenza dei medici e degli odontoiatri) e via, gli oneri sono gli stessi dei colleghi regolarizzati: attenzione, scrupolosità, affidabilità. Ché un medico resta sempre un medico, anche se si fa pagare col pos. Per il resto valgono le regole del libero mercato professionale: il regime dei minimi salta oltre i 30mila euro di reddito annuo, poi i dolori passano dalla cartella clinica a quella del Fisco. Il fenomeno è talmente diffuso che, su internet, ci sono decine di pagine che spiegano per filo e per segno come fare ad aprire una partita Iva dopo la laurea in Medicina. E che calcolano, spannometricamente, quanto se ne potrebbe andare dopo, in tasse e balzelli. Esempio: con un coefficiente di redditività del 78% (che poi è quella di chi svolge attività professionali) e ricavi per 50mila euro, il dottore-libero-professionista dovrebbe ritrovarsi con mille euro di contributi deducibili e 5.700 di imposte sostitutive al 15%. L’alternativa è quella di stare a casa ad aspettare i concorsi per la sala operatoria.
RAPPORTO DI LAVORO
E comunque non è tutto rose e fiori. Spesso, questi dottori «non hanno una qualifica specifica per svolgere la funzione richiesta», sbottano i sindacati. Della serie: hanno pure accumulato mesi e anni di esperienza nei reparti di emergenza e di urgenza, ma il loro curriculum finisce lì. «In secondo luogo – chiosa Palermo, – visto che il loro rapporto di lavoro non è stabile, è impossibile controllare i turni accumulati. Cosa che si traduce in una mancanza di sicurezza per se stessi e per gli altri. Infine, proprio perché chiamati di giorno in giorno e in posti diversi, hanno più difficoltà a conoscere in modo approfondito l’ambiente di lavoro e le procedure». E certo, la soluzione migliore (per tutti, pazienti compresi) sarebbe quella di una maxi assunzione nazionale sia nei presidi ospedalieri che nelle scuole di specializzazione, in modo da tamponare i buchi che si stanno allargando come voragini. Ma quella è una soluzione politica, deve metterci le mani il governo e trovare le coperture e far quadrare i conti. E insomma, non è poi così semplice.