Il Sole 24 Ore, 8 novembre 2019
Che cosa succede ora in Mediobanca
L’uscita di Unicredit dall’azionariato di Mediobanca è un evento storico e significativo di un momento di svolta; è quindi comprensibile la discussione che si è aperta sui protagonisti passati, presenti e futuri dentro. L’azionariato oggi è tripolare (il mercato, un gruppo di azionisti storici e Del Vecchio), e nei prossimi mesi si scoprirà se e quanto possa reggere. Prima di allora però c’è un fatto che merita non meno attenzione, e che ispirerà eventuali riassetti non meno delle mosse dei soci: il piano strategico che verrà presentato il 12 novembre.
È anzitutto qui che si gioca il futuro di Piazzetta Cuccia, reduce da un piano rispettato alla lettera che ne ha trasformato profondamente i connotati. Mediobanca oggi è la principale banca d’affari in Italia ed è entrata con successo in settori profittevoli quali il retail 2.0, il credito al consumo e il wealth management. Settori dove la competizione è feroce e dove è stato possibile avere successo facendo leva su alcuni elementi distintivi: reputazione, approccio “boutique” premium, focus manageriale.
Il piano 16-19 era un piano con una chiara strategia corporate: sceglieva, cioè, i business in cui competere. Una buona corporate strategy richiede tre passaggi: entrare in settori profittevoli, assicurarsi che il costo di ingresso non sia superiore ai ritorni futuri, avere chiaro quali sono gli elementi che permettono di avere una solida business strategy nel settore in cui si entra.
È possibile che il nuovo piano vada in continuità visti i successi di questi anni. Sarà anche necessario decidere come adattarsi alle nuove necessità, facendo evolvere il ruolo e le attività della banca, per affrontare le sfide della competizione globale e per affrontare i trend che stanno caratterizzando il settore bancario: zero interest, regolamentazione, digitalizzazione.
Zero Interest: gli asset finanziari nel mondo sono circa 300 trilioni a fronte di circa 80 trilioni di PIL: se si utilizza il 10% del PIL per remunerare il capitale si ottiene un rendimento medio del 2,6%. Questo comporta un ambiente “zero gravity” dove il denaro sarà una commodity senza prezzo e lo sarà nel lungo termine viste le ultime decisioni dei banchieri centrali.
La regolamentazione generata a livello globale come reazione alla crisi del 2008 ha fatto delle banche delle “istituzioni di pubblica utilità” dove la stabilità del sistema è obiettivo primario rispetto al rendimento del capitale.
La digitalizzazione annullerà il valore dell’intermediazione, che è l’essenza della banca nata per trasferire la fiducia tra i suoi clienti anche attraverso banche corrispondenti, per custodire e proteggere denaro e preziosi in forma fisica, per trasferire denaro senza dover affrontare la complessità di muovere oro o carta.
Questi trend porteranno alla “commoditizzazione” dei servizi a cui si può rispondere con una nuova corporate strategy che permetta di servire nuovi e più sofisticati bisogni di un numero crescente di clienti.
Per capire e servire nuovi bisogni è necessario puntare su innovazione e partnership con soggetti di altri settori per poter arrivare al cliente in modo più efficace, le esperienze avviate con ApplePay, con i pagamenti con Google Home e Alexa o con Libra di Facebook sono solo primi passi di tentativi di convergenza.
Per servire un numero crescente di clienti è necessario entrare in nuovi mercati. Per farlo è prudente iniziare con i servizi in cui si è più forti: ecco perché l’investment banking è la divisione su cui, probabilmente, si punterà. La crescita dimensionale è necessaria anche per mantenere una forte indipendenza e una chiara italianità in un mondo dove le grandi banche americane sono cresciute negli ultimi trent’anni sulle ali della dollarizzazione del mondo e le banche europee sono rimaste piccole sotto le ali delle regolamentazioni dei singoli stati.
Questa differenza rischia di essere un handicap nel contesto attuale e va superata con un passaggio dimensionale coraggioso che miri a diventare uno dei leader europei, mantenendo però un’anima italiana, necessaria tra l’altro a proteggere i titoli di Stato che ha in pancia Generali.
Come insegna Porter, un settore non cambia perché è possibile un miglior assetto per soddisfare il consumatore bensì perché qualcuno agisce in modo imprenditoriale per cogliere l’opportunità data dal cambiamento. Il management che presenterà queste azioni il 12 novembre ha nella stabilità (indicata come un fattore differenziante nel piano 16-19) e nella qualità elementi chiave per affrontare l’ambiente competitivo e le impegnative sfide dei prossimi anni.
Queste sono le azioni strategiche che si misureranno con l’azionariato tripolare, dove il mercato resta il baricentro. In questo contesto, Del Vecchio, come nuovo azionista, potrà contribuire con le qualità tipiche del capitalismo familiare: visione imprenditoriale, capacità di decisione rapida, volontà di investire, visione di lungo termine. In teoria, la sua presenza tra gli azionisti italiani può contribuire a fare di Mediobanca un concorrente europeo forte con solide basi e proprietà italiana. In pratica, sarà necessario trovare il modo per valorizzare il contributo di tutte le componenti dell’azionariato: siamo in Mediobanca, non è necessario ricordare che le azioni si pesano non si contano.