La Stampa, 8 novembre 2019
I 50 anni delle Atp Finals di tennis
Per essere un 50 enne con centinaia di migliaia di chilometri nelle scarpe, non se la passa male. Anzi, è decisamente in forma: coccolato e desiderato da tutti, Federer, Djokovic e Nadal per primi. Ma facciamo le presentazioni: stiamo parlando del torneo di fine anno, la sfida fra gli 8 «maestri» del tennis che di nomi dal 1970 a oggi ne ha cambiati parecchi: Masters Grand Prix - il più noto - poi Tennis Masters Cup, mentre oggi lo conoscono tutti come Atp Finals.
Domenica va in scena per l’undicesima volta alla 02 Arena, l’east end del tennis, nel 2021 sbarcherà a Torino, e ormai ha completato più di un giro del mondo. La foto da bebè lo ritrae al Metropolitan Gymnasium di Tokyo, preda di Stan Smith alla fine di una cervellotica forma senza finale. Da ragazzino ne ha girati tanti di palcoscenici celebri: lo Stade Pierre de Coubertin a Parigi, il Palau Blaugrandi Barcellona, il mitico Boston Garden - la casa dei Celtics - nel 1974 addirittura l’erba del Kooyong (per la sua prima e unica edizione all’aperto e sull’erba, vinta incredibilmente dal re del rosso Vilas), la Kungsliga tennishallen di Stoccolma.
Nome rubato al golf
Jack Kramer, il papà dell’Atp, aveva rubato il nome all’Augusta Masters, trapiantandolo dai green ai court e inventandosi un formato a gironi, estraneo al tennis e detestato dai puristi, per regalare un vincitore al neonato circuito pro. Il Masters - pardon, le Atp Finals- è diventato adulto però solo quando da nomade si è stabilizzato per 13 anni (1977-89) quelli dell’adolescenza, al Madison Square Garden di New York. A regalargli un tocco di follia era stato proprio Nastase, vincitore di quattro edizioni su cinque fra il 1971 e il 1975, quando, a Stoccolma, fu capace di farsi squalificare da un match in cui ad andarsene dal campo, indignato era stato l’avversario: il duca Nero Arthur Ashe, imbufalito contro l’amico-nemico romeno che lo chiamava «Negroni» e lo disturbava al servizio (e Ilie, per farsi perdonare, bussò alla sua stanza d’albergo con un mazzo di rose in mano). Nella Grande mela hanno vinto solo i grandissimi: Connors, McEnroe, Borg, che al Madison per una volta si scongelò beccandosi un punto di penalità per proteste - dall’altra parte ovviamente c’era McEnroe -, Lendl (5 centri), e Becker che proprio contro Ivan il terribile vinse la finale più incredibile, nel 1988, aiutato da un nastro sul matchpoint. Gli Anni ’90, il decennio di Becker, Edberg e Stich oltre che di Sampras e Agassi - le Finals li hanno passati tutti in Germania, fra Francoforte e Hannover, poi è ripartita la transumanza (Lisbona, Sydney, Houston) con uno stop di 4 anni a Shanghai prima della maturità british, quella firmata da Federer (sei titoli, un record) e Djokovic. Di supplenti in cattedra le Finals ne hanno tollerati pochissimi (Corretja, Nalbandian, Davydenko). Di luminari, per ora, ne hanno respinto solo uno: Nadal.
Quarant’anni dopo Panatta e Barazzutti, si trovano di nuovo in classe un latin lover, Matteo Berrettini e i suoi secondi 50 anni li comincerà in un’Università italiana. Con il solito fascino, e pochissime rughe.