la Repubblica, 7 novembre 2019
Alexa, scopri il colpevole
“Alexa, giura di dire tutta la verità”: l’assistente vocale di Amazon è oggi il testimone chiave di un sospetto omicidio in Florida, oltre che un esempio dei nuovi strumenti tecnologici – come laser, droni e intelligenza artificiale – a disposizione degli investigatori del terzo millennio. Il nuovo caso che mette Alexa sul banco dei testimoni è la morte di Silvia Galva, donna morta trafitta da un montante del letto a forma di spada dopo un litigio col marito, Adam Crespo, che sostiene essersi trattato di un incidente. La polizia ha richiesto ad Amazon le registrazioni del dispositivo Echo attivo quella sera, e le sta analizzando per trarre utili indizi. «È un esempio di Internet of Things Forensics, specialità investigativa che diventerà sempre più importante», spiega Sue Black, antropologa forense britannica e autrice del saggio All that remains (Doubleday). «Se non per risolvere i casi, quantomeno per aiutare chi indaga a formulare domande una volta impossibili. Come in un altro caso accaduto nel 2015 in Arkansas: un uomo trovato strangolato nella vasca di un suo amico. In quel caso il contatore” smart” che traccia l’uso di acqua e luce rivelò che tra l’una e le tre di notte erano stati usati 530 litri d’acqua, quantità eccessiva che si pensò fosse servita all’indagato a lavare tracce dal patio».
Il principio base delle scienze forensi, ovvero lo “scambio di Locard” ( Il criminale lascia tracce sulla scena del delitto, e la scena del delitto lascia tracce sul criminale), oggi si estende al mondo digitale di Alexa e ad altri mondi altrettanto impalpabili. «Ad esempio l’aria: chiunque entri in una stanza libera nell’aria la sua nuvola batterica. Quando ci muoviamo disperdiamo qualche milione di bioparticelle all’ora. Oggi, dopo aver estratto con una siringa un campione d’aria, si può analizzarla con nuove tecnologie come la Next Generation Sequencing – che permette di sequenziare milioni di frammenti di DNA in parallelo – e ricavare la “firma” batterica di quella stanza. Confrontandola con la” firma” batterica di un sospetto, ovvero il DNA dei suoi batteri, si può capire se quell’individuo è stato in quella stanza», spiega l’entomologo forense Stefano Vanin, docente all’Università di Genova. «Così come è prezioso trovare che il microbioma sulla suola delle scarpe del sospettato ha la stessa firma di quello sul suolo della scena del crimine: negli Stati Uniti è una prova valida in tribunale».
Le tracce di oggi sono capaci di parlare come mai prima: «Da un campione di DNA possiamo predire il colore di occhi, capelli e pelle, l’appartenenza a un continente e anche l’età approssimatiba di un soggetto», spiega Manfred Kayser, docente di biologia all’Erasmus MC University di Rotterdam. «Così si scoprono i colpevoli anche quando non compaiono nei database giudiziari». E ci sono passi da gigante anche per la scienza delle impronte: «Dieci anni fa un’impronta trovata sulla scena del crimine era utile solo se apparteneva a qualcuno le cui impronte erano già state registrate nel database dei pregiudicati, oppure se c’era una lista di sospettati di cui si potessero prendere le impronte per confrontarle. Ora invece le impronte possono aiutare la polizia a trovare dei colpevoli del tutto ignoti», spiega Simona Francese, professore di spettrometria forense alla Sheffield Hallam University. «Le molecole sulle impronte oggi possono rivelarci di che sesso è la persona, se ha assunto dei farmaci o droghe, o se ha toccato certi oggetti». Questo accade grazie alla spettrometria di massa MALDI: una tecnica che colpendo con un raggio laser le molecole che fanno parte dell’impronta, le identifica. «Inoltre registra per ogni molecola identificata le sue coordinate spaziali, così se chiediamo al software” Evidenziami tutti i punti in cui questa molecola è presente”, possiamo aggiungere le parti mancanti di un’impronta parziale raccolta sulla scena del crimine e dare una svolta alle indagini», spiega Francese. «Possiamo anche vedere il punto esatto in cui una molecola di droga si trova su un capello, e ciò permette di capire se l’individuo ha assunto droga un mese fa».
I capelli ci raccontano anche altro: «L’analisi sul capello degli isotopi stabili di ossigeno, idrogeno e carbonio – ovvero atomi con un numero di neutroni che varia nelle diverse aree geografiche – oggi ci aiuta a dire: “Qualcosa è successo due mesi fa: l’individuo ha vissuto per un po’ da tutt’altra parte del mondo”. E quindi magari è un terrorista che è stato ad allenarsi in Afghanistan», spiega Sue Black, che ha anche introdotto un nuovo tipo di identificazione che ha già portato a 28 ergastoli nel Regno Unito. «Analizziamo con algoritmi di machine learning i video e le foto di abusi sessuali sui minori, uno dei pochi casi in cui i criminali ritraggono parti del proprio corpo: abbiamo dimostrato che la struttura delle vene sul dorso delle mani, i nei e le pieghe della pelle sulle dita formano un pattern unico per ogni individuo, che può essere confrontato con quello di un indagato», spiega Black. «Per dare al male un nome e un cognome».