https://www.lettera43.it/hellas-verona-news-destra-curva/, 6 novembre 2019
Estrema destra e calcio: storia della curva dell'Hellas Verona
La polemica innescata dai cori razzisti denunciati da Mario Balotelli da parte di alcuni ultrà dell’Hellas Verona e, ancora di più dall’intervista a Radio Cafè di Luca Castellini, esponente di Forza Nuova e leader della curva – «Balotelli è italiano perché ha la cittadinanza italiana ma non potrà mai essere del tutto italiano. Noi razzisti? Assolutamente falso: ce l’abbiamo un negro in squadra» – non accenna a placarsi.
Intanto per Castellini è arrivata l’interdizione dal Bentegodi fino al 2030, mentre la procura ha aperto un’inchiesta per discriminazione razziale, per il momento contro ignoti.
LA MOZIONE DEI CONSIGLIERI CONTRO BALOTELLI
Il sindaco Federico Sboarina ha difeso i tifosi e il buon nome della città, uscita dal battage mediatico – a suo avviso – come un covo di razzisti. Tanto che il Comune potrebbe persino adire le vie legali nei confronti di Balotelli e di chi ha diffamato la città. Almeno questo è quello che chiedono con una mozione quattro consiglieri: Andrea Bacciga, eletto con la lista civica del primo cittadino e i leghisti Alberto Zelger, Paolo Rossi e Anna Grassi.
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LA STORIA DELLA CURVA DEL VERONA
Ma in città e al Bentegodi batte davvero un cuore nero? «La curva del Verona», spiega a Lettera43.it Pierluigi Spagnolo, giornalista e autore de I ribelli nel calcio. Una storia del movimento ultras italiano (Odoya), «venne fondata negli Anni 70 da due ragazzi dei collettivi studenteschi. All’epoca in Italia imperversava il terrorismo delle Brigate Rosse e la tifoseria scelse il nome di Brigate gialloblu». Dalla metà degli Anni 80, continua Spagnolo, fino ai primi 90, «quando le Brigate ultrà vennero sciolte per l’arresto dei capi accusati di associazione a delinquere, invece, diversi esponenti di destra infiltrarono la curva che mutò radicalmente il suo orientamento».
La curva dell’Hellas, una delle due squadre di Verona.
L’HELLAS E IL MODELLO BRITANNICO
Il modello dell’Hellas è la tifoseria britannica, spiega il giornalista. Tanto che già nel 1976 lo striscione Brigate GialloBlu venne appeso nello stadio del Chelsea e sempre in Inghilterra comparve la scritta Hellas Army. «Basti pensare che negli Anni 70 e 80 si parlava di “triangolo della violenza” riferito alle tifoserie di Bergamo, Verona e Brescia. Campionati in cui si contava un morto ogni anno per gli scontri e dove si potevano ascoltare allo stadio cori sui terremotati del Friuli, sul disastro di Superga o dell’Heysel. Oggi si sospende una partita per un coro contro i napoletani quando in alcuni casi sono gli stessi tifosi partenopei a intonare ironicamente cori ‘sul Vesuvio’». Spagnolo getta acqua sul fuoco anche sulle dichiarazioni di Castellini: «È ovvio che se un’emittente interpella il leader locale di un partito politico di estrema destra che è anche un capo ultrà, questi non potrà mai dire cose molto diverse da quelle che abbiamo ascoltato».
SE I CAPI ULTRÀ SONO USATI COME COLLETTORI DI CONSENSO
Va anche ricordato che non tutte le tifoserie sono uguali e che l’opinione di un capo ultrà non rappresenta quella di una intera curva. Che ci siano due “spalti” ben diversi, a Verona, lo ricorda anche Guido Caldiron, giornalista e autore di Estrema destra (Newton Compton): «A Verona c’è anche il Chievo, squadra che ha da sempre una tifoseria simpatica e divertente che non porta simboli di odio allo stadio». Per l’Hellas il discorso è diverso: da 20 anni si registra l’egemonia dei gruppi di estrema destra. «E questa circostanza è servita alla politica cittadina fin dalle amministrazioni Tosi per creare l’idea di una comunità», sottolinea Caldiron. «C’è la politica conservatrice di destra fuori dello stadio, ci sono i ragazzotti della curva con posizioni affini dentro lo stadio e talvolta si possono utilizzare dei capotifoseria per portare voti». Questi meccanismi, è il ragionamento, sono stati sfruttati un po’ da tutte le ultime amministrazioni.
Luca Castellini, leader veneto di Forza Nuova, messo al bando dallo stadio dall’Hellas Verona fino al 2030.
VERONA È LABORATORIO DEI RAPPORTI TRA ESTREMA DESTRA E TIFO
«Verona è un piccolo laboratorio nei rapporti tra estrema destra e tifoserie: quello che sta facendo Matteo Salvini a livello nazionale, in piccolo è avvenuto in questi anni al Bentegodi, con una destra capace di aggregare tutte le diverse correnti ‘della destra radicale’. Bisogna anche tener conto», prosegue, «che la tifoseria dell’Hellas non è solo quella cittadina ma attira persone anche dalle aree limitrofe dove si è sviluppata negli anni quell’idea forte di coltivare l’identità sul modello leghista: prima si andava contro i terroni, quelli della Bassa Italia, adesso il bersaglio sono i giocatori di colore».
L’ODIO INDISCRIMINATO E I FANTOCCI IMPICCATI
E nella curva veronese ha fatto parlare di sé anche il Veneto Fronte Skinheads che sin dagli Anni 90 ha proprio nel Bentegodi uno dei luoghi prediletti di azione e propaganda. «Nel 2001», ricorda Caldiron, «comparve uno striscione in curva con la scritta “Noi skin non siamo pignoli: odiamo tutti”. Ma non fu l’unico caso: si registrarono cappucci bianchi come quelli usati dal Ku Klux Klan e fantocci di giocatori di colore impiccati o bruciati».
Il fantoccio impiccato di Maickel Ferrier al Bentegodi nel 1996.
E il riferimento è al derby Hellas-Chievo del 1996: la curva fece penzolare un pupazzo impiccato davanti a uno striscione in dialetto veneto: «El negro i ve là regalà. Dasighe el stadio da netar!». Tradotto: “Il negro ve lo hanno regalato, dategli lo stadio da pulire”. Il manichino rimase lì per ben 38 minuti. Il “negro” cui si riferiva lo striscione era Maickel Ferrier, un giocatore olandese con cui il Verona aveva praticamente chiuso la trattativa. Dopo quell’episodio che fece indignare il mondo del calcio, Ferrier non venne più acquistato. «Negli anni» aggiunge Caldiron «insieme agli Skinhead sono arrivati in curva prima Forza Nuova e poi ha fatto anche una sua breve comparsa anche Casapound. Senza dimenticare gruppi minori di fiancheggiatori come Blood and Honor, sempre della galassia Skinhead».
LA SVASTICA COME SIMBOLO
Ma gli episodi non si contano. Nel 2014, durante la festa della curva Hellas Verona, vennero parcheggiate diverse auto a disegnare una svastica, mentre tre anni dopo, durante un’altra festa, alcuni tifosi intonarono un coro: «Siamo una squadra fantastica, fatta a forma di svastica». Sboarina, eletto poche settimane prima, ovviamente condannò derubricando l’episodio come un «caso singolo messo in moto a tarda notte probabilmente da qualche bicchiere di troppo».
LO STADIO È LO SPECCHIO DELLA CITTÀ
Pur senza generalizzare, una cosa è certa: «La curva è la fotografia di una certa realtà fuori dagli stadi», insiste Spagnolo. «Non è che una volta entrati allo stadio si cambia: le persone sugli spalti sono le stesse che poi incontri in centro. La curva del Verona è lo specchio di una città con una forte connotazione a destra, la stessa amministrazione e la maggior parte dell’elettorato veronese guarda al centrodestra». In questo senso, la curva ha sempre fatto della caratterizzazione politica il proprio collante. E a conferma di questa lettura, Caldiron ricorda come a Verona ci siano «quartieri come Borgo Trento dove passi e hai l’iconografia dell’estrema destra, con scritte che sono un catalogo parlante». A questo va aggiunto un dato storico e sociale: lo stadio, prosegue Spagnolo, «è da sempre lo sfogatoio della società. Negli Anni 70, per esempio, allo Stato ha fatto comodo che esistessero gli ultrà e che andassero a sfogarsi, diciamo così, allo stadio di domenica». Questo perché sugli spalti li si poteva controllare e magari questo catalizzatore «evitava che finissero in organizzazioni come Prima linea, le Brigate rosse o i Nar». La differenza rispetto a quegli anni, conclude Caldiron, «è che negli Anni di piombo era difficile sentire fuori dagli stadi il linguaggio delle tifoserie, oggi invece è frequente, anche in politica. E se lo stadio è uno specchio, allora non si può dire che sia altro da noi».