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 2019  novembre 06 Mercoledì calendario

Le regioni più colpite dalla plastic tax

«Il problema non è quanto la plastic tax colpisca la filiera del packaging dell’Emilia-Romagna. Il problema è che si parla di plastica dimenticando che è un universo di materiali diversi, tra Pet, Pvc, polietilene, polipropilene per i quali oggi non ci sono valide alternative per proteggere il cibo. Rischiamo di generare tonnellate di scarti alimentari e di compromettere la sterilità di dispositivi medici per ideologie e slogan». È tranchant Giuseppe Lesce, presidente nazionale Federmacchine e dirigente del colosso meccanico di Imola, Sacmi, contro l’ultima tassa ideata dal Governo su imballi e contenitori in plastica monouso (1 euro al chilo, valore che supera il costo della materia prima) per far quadrare la legge di bilancio.
Sacmi, leader mondiale nelle tecnologie per lo stampaggio di tappi in plastica (più di 600 modelli sviluppati) e per l’iniezione di bottiglie in Pet è uno dei campioni di quella packaging valley che si sta facendo sentire contro il nuovo balzello giallo-rosso per fare cassa. Perché qui, lungo la via Emilia, si concentrano i due terzi dell’industria italiana delle macchine per confezionare e imballare cibi, bevande, farmaci, cosmetici, sigarette. Costruttori che a valle, in regione, contano un migliaio di aziende attive nella trasformazione della plastica per oltre 16mila addetti. E una nicchia in particolare della plastica, quella dei contenitori per l’ortofrutta. «Noi non saremo colpiti direttamente dalla plastic tax, che dovranno pagare i produttori di plastiche monouso, tra cui molti nostri clienti – spiega Enrico Aureli, presidente di Ucima, l’associazione confindustriale dei costruttori di macchine per il packaging – ma su di noi si ripercuoterà a cascata la crisi dei settori a valle e la sfiducia degli investitori. Questa tassa miope studiata ignora completamente che la nostra nicchia meccanica è la più avanzata al mondo nella ricerca di tecnologie per ridurre l’utilizzo di materiali da imballo e per rendere “macchinabili” soluzioni con materiali biobased. Le bioplastiche hanno caratteristiche fisiche e meccaniche ancora decisamente inferiori. Alla filiera servono incentivi alla ricerca e all’innovazione non nuovi balzelli. Nel nostro Technology Lab – prosegue Aureli, ad della multinazionale di famiglia, Aetnagroup – assicuriamo ai clienti una riduzione del materiale da imballo che va dal 30 al 55% a seconda del prodotto».
Le bottiglie in vetro o in tetrapak costano ancora troppo rispetto al Pet per essere validi competitor della plastica «e va detto che il carbon footprint del vetro, guardando al ciclo complessivo di vita del prodotto, è comunque più alto di quello del Pet, materiale riciclabile al 100%. Dovremmo smettere di idolatrare Greta Thunberg e ascoltare gli scienziati» rimarca Lesce.
L’escamotage più semplice per le multinazionali sarà chiudere le fabbriche nel nostro Paese e produrre oltreconfine i prodotti per poi importarli esentasse. «La plastic tax non ha neppure una valenza pedagogica nel nostro settore, perché il mercato è molto più esigente e veloce delle norme nell’imporre modelli di consumo sostenibili. Già oggi la domanda di Pet riciclato di noi produttori di imballaggi (ce lo chiedono i clienti) è più alta dell’offerta disponibile sul mercato. Una tassa che raddoppia il costo che già paghiamo al Corepla per il riciclo si scaricherà inevitabilmente sui consumatori e disidraterà finanziariamente noi produttori, costretti ad anticiparla», afferma Riccardo Pianesani, ad del gruppo bolognese Ilpa, 830 addetti e 200 milioni di ricavi. Per Ilpa la “plastic tax” significherebbe 25 milioni in più ogni anno da pagare allo Stato: il 12,5% del fatturato, un peso semplicemente insostenibile.