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 2019  novembre 06 Mercoledì calendario

Quanto pesa la possibile chiusura dell'ex Ilva sull'indotto

Chi pensa alle conseguenze di un possibile addio di Arcelor Mittal dovrebbe fare i conti almeno due volte. A rischio infatti non ci sono solo i 10.700 mila posti di lavoro dell’ex Ilva di cui 8.200 a Taranto, ma anche quelli dell’indotto (lo Svimez stima un bacino totale di oltre 15 mila persone), senza parlare del giro d’affari che l’ex Ilva muove nella nostra economia. Nella città pugliese e in tutta Italia.

A RISCHIO I POSTI DELL’INDOTTO, DIRETTO E INDIRETTO Si comincia con gli addetti dell’indotto. Secondo i sindacati ce ne sono circa 4 mila che lavorano ogni giorno negli stessi stabilimenti dell’azienda. A loro andrebbe poi aggiunto un numero imprecisato di dipendenti di piccole e piccolissime imprese che nessuno si è mai preoccupato di censire. Si occupano per lo più delle lavorazioni classiche del settore metalmeccanico (dai tubi alle saldature, dalle torniture agli impianti elettrici) svolte in larga parte dal personale di pmi del territorio circostante.

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Che cosa accadrà a queste aziende e a questi lavoratori se Arcelor Mittal si ritirerà? L’esperienza anche recente non promette niente di buono. «Durante la gestione commissariale dell’Ilva», racconta a Lettera43.it il responsabile della Fim-Cisl per l’indotto, Vincenzo Castronuovo, «si erano accumulati ritardi nei pagamenti ai fornitori, specie i più piccoli, che si ripercuotevano sui loro dipendenti. Alcuni sono stati mesi senza stipendio. Dall’inizio di quest’anno, invece, appena un paio di mesi dopo l’accordo con Arcelor Mittal, la situazione si è normalizzata. Ma ora temiamo un nuovo passo indietro». 

Una veduta aerea dello stabilimento dell’Ilva di Taranto. DAGLI APPALTI AI SERVIZI: I CONTRATTI A RISCHIO L’impatto di tutto questo si aggira grosso modo sull’1,5% del Pil di Taranto. Molto meno del 3% stimato per gli Anni 90, d’accordo, ma pur sempre una percentuale pesante. Le conseguenze, inoltre, non si fermano alla città. La famosa copertura del complesso, per esempio, è stata affidata alla Cimolai, società di Pordenone con 3 mila dipendenti. Metalmeccanica a parte, un colosso come l’Ilva richiede tanti servizi, dalle pulizie alla mensa, che impegnano in gran parte personale esterno. La gara per la ristorazione, per esempio, è stata vinta dal gruppo milanese Pellegrini (oltre 8 mila dipendenti, non solo in Italia). Un amaro assaggio di quello che potrà accadere è stato il licenziamento, l’8 ottobre, di 130 dei 201 lavoratori della ditta di servizi Castiglia di Massafra che operava proprio nell’indotto.

LE RIPERCUSSIONI SULL’INDUSTRIA ITALIANA C’è poi da considerare l’effetto sull’industria nazionale di una eventuale cessazione della produzione di acciaio a Taranto. L’odierna disponibilità di questo materiale a costi molto più bassi che in passato a livello mondiale (è uno dei problemi dell’ex Ilva, che anche per questo perde 2 milioni al giorno) suggerisce che altri produttori siano pronti a rifornire le nostre fabbriche a prezzi non superiori a quelli praticati oggi dallo stabilimento pugliese. Del resto già oggi, a causa della riduzione della produzione di Taranto, una buona parte dell’industria italiana soddisfa all’estero (Germania e Turchia, anzitutto) il suo fabbisogno.

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Ma non c’è solo il prezzo. La puntualità delle consegne è forse anche più importante. Far arrivare le lastre da impianti di produzione che si trovano a migliaia di chilometri di distanza non è la stessa cosa che averle a tre o quattro giorni di navigazione. I prezzi bassi di oggi, infine, potrebbero non conservarsi tali domani. In un mondo che vede crescere le tensioni e la minaccia dei dazi, anche la vulnerabilità dell’industria italiana è un tema da mettere sul piatto della bilancia.  

LA CHIUSURA DI TARANTO AVREBBE UN IMPATTO DI 3,5 MILIARDI Uno scenario quantificato dallo Svimez secondo cui l’impatto annuo sul Pil della chiusura degli stabilimenti ex-Ilva sarebbe, considerando gli effetti diretti, indiretti e indotti, di 3,5 miliardi di euro, di cui 2,6 miliardi concentrata al Sud (in Puglia) e i restanti 0,9 miliardi nel Centro-Nord. La contrazione dell’economia sarebbe dello 0,2% a livello nazionale e dello 0,7% nel Mezzogiorno. A risentirne sarebbero le esportazioni (-2,2 miliardi) ma anche i consumi delle famiglie (-1,4 miliardi), considerando il significativo impatto del venir meno degli stipendi degli addetti dello stabilimento, dell’indotto diretto e degli effetti occupazionali del rallentamento dell’economia.