Corriere della Sera, 5 novembre 2019
Galateo linguistico insegnato da Dante
Lunedì, alla Camera, sono state presentate due mozioni per chiedere al governo di istituire un «Dantedì» nel calendario annuale, cioè una giornata in omaggio del nostro Sommo poeta. L’Alighieri è il padre della nostra lingua, ma bisognerebbe ricordarsi che, da buon «padre» di famiglia, Dante è un modello di comportamento (linguistico). La riflessione viene spontanea leggendo il recente viaggio storico dal latino all’italiano contemporaneo di Valeria Della Valle e Giuseppe Patota (La nostra lingua italiana, Sperling & Kupfer). Che tratta, tra l’altro, del linguaggio della Commedia, mostrando come Dante riesca a impartire ai posteri una mirabile lezione di galateo linguistico, cioè di coerenza tra il registro stilistico e il contesto. È questo uno degli insegnamenti fondamentali del buon professore di italiano: segnalare agli allievi che ogni circostanza richiede un suo livello linguistico (solenne, alto, formale, colto, informale, familiare, confidenziale, intimo eccetera). Leggendo Dante è facile comprendere questo rapporto di necessità tra lingua e realtà comunicativa che spesso (e volentieri!) sfugge ai politici quando decidono di proporsi pane al pane vino al vino in qualsiasi situazione, ritenendosi più simpatici e diretti senza pensare che sono solo più inopportuni e cafoni. È la sindrome Trump, ovvero l’effetto-social network – rapidità-sgangheratezza-scurrilità – esteso a ogni circostanza. Dante dissemina di parolacce l’Inferno (e in parte il Purgatorio), dove può parlare di «bordel», di «puttana», di «vacca», di «culo» e di «fica», può evocare il «trullare» dei peti, può sbizzarrirsi con i «lezzi», le «poppe», «l’unghie merdose», la «merda», le «minugia», la «strozza», la «rogna». Ma poi sa che nel Paradiso deve cambiare registro e veleggiare lieve per la Candida Rosa, dove non c’è più alcun lezzo ma «letizia», «divizia», «delizia»… Nel loro piccolo anche certe formiche politiche dovrebbero almeno un po’ dantizzarsi. Per esempio, quelle che inveiscono contro il loro avversario con frasi tipo: «Si faccia curare, e da uno bravo!». (Cercare in rete per credere: è un’espressione bipartisan…). In questa ottica, ci vorrebbe un Dantedì al giorno. Perché, a proposito del parlare a vanvera si potrebbe dire quel che il Sommo poeta disse del mostro Gerione: è una bestia che «tutto ‘l mondo appuzza». E turarsi il naso non serve più.