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 2019  novembre 03 Domenica calendario

Per il Var una mezza bocciatura

Var, ancora tu. Ci hai messo poco a raggiungere bar e Car (per chi ha fatto il militare), a sorpassare Sar e zar, te la puoi vedere con Tar, specie se del Lazio. Sei anche al centro di interrogazioni parlamentari. Mi dirai che non è colpa tua se i politici non hanno il senso del ridicolo. E hai ragione. Solo qui, però. Per il resto, buio. Ammettiamo che i calciatori non conoscano le nuove regole, idem gli allenatori, i tifosi, i giornalisti. Se uno strumento che doveva far chiarezza e togliere dubbi e veleni non fa nulla di tutto questo, oppure lo fa a intermittenza, mi sembra già una mezza bocciatura. Ammettiamo che il viluppo Kjaer-Llorente non fosse di facile interpretazione, tant’è che la Gazzetta è certa che non ci fosse il rigore, mentre molti altri, non necessariamente tifosi del Napoli, pensano il contrario. A caldo e senza saperlo mi sono trovato sulla posizione di Paolo Casarin, docente libero più che libero docente in fatto di arbitraggi. Nel viluppo, il danno maggiore tocca a Llorente. Quindi, era rigore.
Ormai è andata, a pagare di più è stato Ancelotti. Ingiustamente, se le cose sono andate come le ha raccontate. Il punto è: si può rendere meno fumoso e più chiaro il Var? La proposta di allargare al capitano o al tecnico la possibilità di chiedere il Var ha incontrato consensi anche fuori dal calcio: Zorzi, per esempio. Nel volley è già così ma lì, non essendo sport di contatto, la gestione è più facile.
Sulla Gazzetta, Gianluca Pagliuca suggerisce l’ingresso di un ex calciatore nella stanza dei bottoni, soprattutto per stangare «quelli che cadono al primo soffio di vento». Temo sia irrealizzabile. Un po’ perché gli arbitri non cederebbero spazio volentieri e poi perché, per il popolo dei tifosi, un ex calciatore resta fedele ai suoi colori, dunque è di parte.
Nemmeno sarebbe sbagliato mandare sul maxischermo le stesse immagini che si vedono al Var. Più chiarezza si fa, meglio è. Certo, Var o non Var, basterebbe che avessimo altri tre-quattro arbitri come Rocchi. Ieri da 8, per come ha diretto una gara difficile, per come l’ha fermata per i cori contro Napoli e Koulibaly. E bravo Dzeko, a sollecitare applausi di copertura su quel becero sonoro. Ne ascolteremo ancora tantissimi.
E semplare, in Senato, l’astensione delle destre in blocco sulla commissione che si propone di arginare razzismo, antisemitismo, istigazione all’odio. Più che un’astensione un’ostensione. Singolare iniziativa di Giorgia Meloni, che telefona a Liliana Segre e si scusa così: ci siamo astenuti perché difendiamola famiglia. Che è come dire: ci siamo astenuti perché siamo vegetariani. Sulle scuse, c’è da aggiungere che a 37 anni dall’episodio, nel centenario della nascita di Gianni Brera, in un convegno a Pavia Marco Tardelli si scusa pubblicamente con Franco, figlio di Gianni, per avere insultato suo padre. Al bar dell’albergo della Nazionale, in Galizia, Brera era al banco del bar a bere un caffè. Non ero lì, ma l’avevo saputo da due colleghi di cui mi fido (Tony Damascelli e Gigi Garanzini) non perché quasi coetanei ma perché sì. «Era giusto scusarsi, io mi sono comportato male e Brera è stato un signore, ha sentito tutto ma ha fatto finta di niente. Tra l’altro, mi piaceva leggerlo, di calcio scriveva da dio». Bravo Tardelli, meglio tardi che mai. E veniamo a cose più recenti. Non essendoci più Giampaolo, i tifosi del Milan hanno scelto Suso come responsabile di tutti i mali. Lunedì lo fischiano all’annuncio delle formazioni e lo fischiano anche di più quando si alza dalla panchina. Segnerà su punizione il gol della vittoria e scriverà a fine partita su Instagram: “Un gol non cambia la storia, non cancella un momento negativo. Né i fischi, meritati. O le critiche, giuste. Un gol ci fa respirare e ci fa capire che la strada è quella giusta, ma è lunga”. In breve, 7.L unga è un’odissea. Come temevo, i curdi sono quasi spariti da telegiornali e giornali.
Quindi grazie a Repubblica (7,5) per la pagina dedicata ieri. È giusto sapere cosa sta succedendo in tempo di pace (che pace non è: è sopraffazione e sradicamento). Uno spazio per la poesia curda rimane, in questa rubrica. I nostri diversi mondi, di Choman Hardi. “Ci sono tornata cercando una nazione/ e ho trovato solo frammenti:/tribù, regioni, dialetti, religioni./Ci sono andata per fare una nazione/ e sono tornata espropriata, piena di divisioni./Non hai capito perché ho lasciato/ te, la nostra casa, le strade eleganti/ e sono partita di notte in un aereo affollato/ per un posto dove tutto è razionato:/acqua, potere, ricchezza, amore./ Ho preso strade sterrate, dissestate,/ verso villaggi pieni di fantasmi perduti/per ascoltare donne sconosciute/raccontare come tutto era accaduto,/ perché continua. Non hai capito/perché tornavo sempre a polvere e distruzione,/ a quei cuori spezzati che mi straziavano il cuore./Eri stanco di vittime,/hai detto, stanco di me perché/non riuscivo a essere felice./E io ero incapace di spiegare perché/ tornavo sempre lì ad ascoltare e ascoltare/finché i miei sogni sono diventati incubi/ e l’amore solo gesti assenti/ di un corpo stremato”.