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 2019  novembre 03 Domenica calendario

Le scarpe hi-tech che fanno volare

These shoes are made for flying, canterebbe oggi Nancy Sinatra. Altro che running. Da oggi alla maratona si combatte la guerra delle scarpe. Quelle che fanno volare, quelle di Kipchoge, capace di abbattere il limite delle 2 ore e di correre nella fantascienza. A New York che fattura per questa gara 459 milioni di dollari oggi esce di scena un vecchio mondo, senza ammortizzatori e soletta di carbonio. Dite addio alle vostre sneakers perché a tagliare il traguardo a Central Park saranno i prototipi delle nuove scarpe che l’anno prossimo invaderanno il mercato. La sperimentazione è finita, ora inizia il business, quello delle scarpe magiche per tutti. Ottimizzano lo sforzo, migliorano la prestazione: 5” ogni 2 km. Vale a dire quasi 2’ in meno sulla maratona. Anche se c’è chi dice che il vantaggio sia maggiore, del 4%, quindi di meno 5’ a fine gara. È la tecnologia, bellezza. Quella che trasforma in una gara di Formula Uno la corsa più lunga del mondo, che usa la sinergia tra schiuma e lamina. E che ha due nuove componenti: un’intersuola ammortizzata molto spessa, composta da una nuova schiuma, ZoomX, ultraleggera, assai comprimibile, che consente ai talloni di avere un’altezza di 31 millimetri dal suolo, e una lamina sagomata in fibra di carbonio che trasforma la lunghezza della leva tra la caviglia e il punto in cui il piede spinge sul terreno. È come avere su una bici un rapporto di trasmissione migliore. E non c’è solo la Nike che ha inventato la Vaporfly Next% (ultima evoluzione), ma anche tutte le altre aziende sono tornate in laboratorio a progettare razzi e performance per piedi umani. AdiZero pro, New Balance 5280, Hoka One One Carbon X, Saucony e Brooks, il tedesco Frodeno vincitore nell’ultimo Ironman, lì ha testato un prototipo Asics.
Si lamenta Desiree Linden, 36 anni, settima a Rio 2014, vincitrice l’anno scorso a Boston (prima americana dopo 33 anni), alla sua 19esima maratona, che sulle foto di corsa mette una citazione di Kerouac ("Nothing behind me, everything ahead of me"), anzi la sua è una polemica aperta. «Possibile che la nostra gara sia diventata una questione di quale scarpa porti e non di che atleta sei? Possibile che a vincere non sia chi ha più forza e coraggio ma chi ha più tecnologia? Si può ridurre tutto ad un modello di scarpa?». Possibilissimo, tanto che è lei stessa, sponsorizzata Brooks, ad avere qualche dubbio sulla sua connazionale Shalane Flanagan, appena ritirata. «La stimo, ma a Rio è arrivata prima di me, e so che stava testando un nuovo modello di Nike. La tecnologia apre una nuova era che renderà non più comparabili i risultati». Infatti si parla di “quantum leap”, di un enorme progresso. Le sei migliori prestazioni mondiali sono state ottenute con quelle scarpe. Non solo, i sussurri dicono che all’inizio la sperimentazione è stata “white oriented”. Solo per bianchi, per ridurre il gap con i neri africani. Carlo Capalbo, presidente della road running commission della Iaaf, dice che anche in Europa c’è un mercato che aspetta di essere svegliato: «Ci sono 48 milioni di persone che corrono nei 28 stati europei, con una media attorno al 25%, l’Italia con il 6% è un po’ indietro, ma faccio i complimenti alla Fidal che ha appena abolito l’obbligatorietà del certificato medico che costava 500 euro e che teneva lontano gli stranieri dilettanti che disertavano il nostro paese a causa di questa tassa troppo alta. Correre sulla strada è un’energia alternativa, molto green, porta le persone ad avere più responsabilità sociale. New York lavora bene, ha appeal, attrae investimenti e può contate in America su un popolo di 27 milioni di runners. La tecnologia fa parte della ricerca, c’è in tutti i fenomeni di successo, in Europa chi partecipa alle gare on the road spende solo per vestiario e pettorale 17 miliardi di euro, mi pare un’industria importante». C’è chi in questa guerra delle scarpe high tech, prossimamente accessibili a tutti per un costo sui 280 euro, vuole una regolamentazione precisa, se il vantaggio è innegabile, come nel caso dei costumi gommati, non è una forma di doping tecnologico? Ma la Iaaf non intende quest’anno pronunciarsi sull’argomento, lo farà nel 2020 quando la ricerca sarà andata avanti e avrà prodotto altre scosse, oltre allo spostamento della gara olimpica di Tokyo 2020 a Sapporo, ormai ufficiale, ma su cui si continua a litigare e i cui costi a questo punto non verranno più sostenuti dalla capitale giapponese.
Ma oggi occhi puntati su quella che è la regina di New York, la keniana Mary Keitany, in cerca del quinto successo. Ha 37 anni, non raggiungerà le 9 vittorie della norvegese Grete Waitz, ma nel 21esimo secolo nessun’altra ha avuto la sua costanza. Con lei a lottare contro l’etiope Ruti Aga, ci sarà il debutto di Jepkosgei, primatista mondiale della mezza maratona. Nessun italiano in gara. Tra gli uomini il keniano Kamworor (del gruppo di Kipchoge), 29 anni, secondo nel 2015, primo nel 2017, terzo l’anno scorso, se la vedrà con gli etiopi Desisa, 29 anni, e Kitata, 23.
Le donne keniane corrono con un prototipo Adidas, Kamworor con la Nike. Vedremo se sarà quella del record. Ma oggi le fotografie saranno sui piedi di tutti. Con effetto vintage. Addio vecchie sneakers, ma la strada vuole essere fast.