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 2019  novembre 03 Domenica calendario

Proust inedito: le novelle del segreto

Nicola GardiniIl canone proustiano acquisisce alcune importanti tessere giovanili, nove scritti brevi, “nouvelles”, che Proust escluse dal piano finale della sua prima opera,  Les Plaisirs et les Jours (1896). Luc Fraisse li ha recuperati dagli archivi personali di Bernard de Fallois, scomparso nel gennaio del 2018, e raccolti in volume con il titolo  Le Mystérieux Correspondant et autres nouvelles inédites (Editions de Fallois). Chi ha qualche familiarità con il tragitto editoriale delle opere proustiane sa che al precoce de Fallois – non aveva ancora trent’anni quando Suzy Mante, la nipote dell’autore, gli aprì l’archivio di famiglia – dobbiamo la scoperta del  Jean Santeuil e del  Contre Sainte-Beuve, dati alle stampe per la prima volta rispettivamente nel 1952 e nel 1954, e un attento lavoro di ricognizione archeologica sul lavoro che Proust svolse prima di dar mano alla Recherche du temps perdu (iniziata nel 1909). Grazie agli studi e alle pubblicazioni di de Fallois (segnalo il recentissimo  Sept Conférences sur Marcel Proust, a cura di Luc Fraisse, Editions de Fallois) la leggenda, che voleva questo gigante della letteratura mondiale ozioso e ciondolante nella prima parte della vita e agonizzante schiavo della scrittura nella seconda, ha cominciato a scorrere nell’alveo di una più credibile rappresentazione storica. Proust, insomma, ha sempre scritto, e se ha scartato via via e perfino scotomizzato e sconfessato molto di quel che ha compiuto, non siamo autorizzati a sostenere che il capolavoro della maturità sia la fioritura di una tardiva primavera.
Quando abbiamo che fare con autori di opere così imponenti come il Proust della Recherche è difficile non cadere nella tentazione di cercare in tutto quel che la loro penna ha prodotto in precedenza un’anticipazione, se non una vera e propria preparazione del capolavoro. Si vuole dimostrare il segreto del trionfo, identificare la regola del laboratorio, riportare il complesso al semplice. Si vuole capire come si formi e proceda un’immaginazione. Un caso analogo è quello di Dante: in che rapporto stanno la Commedia e la Vita nuova? O quello di Joyce: come si arriva dai Dubliners allo Ulysses? O di certi antichi, come Virgilio (che cosa porta dalle Bucolicheall’Eneide) e Ovidio (come e quanto gli Amores o l’Ars amatoria sono già un po’ delle Metamorfosi?). Il critico mira a scoprire l’unità, il momento del salto, la coerenza di una peripezia; ed è questa probabilmente la parte più vivace e più fascinosa del suo lavoro. 
Les Plaisirs et les Jours possono di sicuro leggersi, nella prospettiva di un inquadramento genealogico, come un cartone della Recherche. A simili letture conducono, oltre la brama di svelare continuità, l’abitudine a considerare qualunque autore un “individuo che si sviluppa”. Non è troppo difficile, d’altronde, indicare in quel libro d’esordio motivi, situazioni, perfino psicologie che torneranno, con ben altra ricchezza e varietà, nel romanzo. Di questo lo stesso de Fallois ci ha dato dimostrazione in un limpidissimo saggio postumo, anche questo di recente pubblicazione (Proust avant Proust. Essai sur Les Plaisirs et les Jours, Les Belles Lettres). Bisogna, tuttavia, tenere bene a mente che Proust, quando tra la metà degli anni Ottanta e la metà degli anni Novanta del diciannovesimo secolo componeva quei racconti, non stava “solfeggiando”. Lui stava dando al mondo una sinfonia chiusa e calcolata in ogni nota; una raccolta di pagine che aveva preparato nell’arco di vari anni e che, parlando d’amore, di morte, di desiderio, di caduta e di redenzione, e calamitando le suggestioni letterarie più eterogenee, ne rappresentavano a pieno il talento e la sensibilità. Se la Recherche è il monumento di una vita, Les Plaisirs et les Jours è il monumento di una giovinezza, che crede nella civiltà delle emozioni e sogna, come l’autore esprime nella stupenda prefazione, una società di migliori. Il progetto della Recherche non si era ancora delineato. 
Ci vorranno prima, appunto, i tentativi del Jean Santeuil e del Contre Sainte-Beuve; ci vorrà l’invenzione di un sistema, una teoria della realtà, formata la quale qualunque somiglianza con quel che è stato prima sarà solo apparente, o meglio: qualunque somiglianza dovrà farci notare più che il persistere di un motivo o di un’immagine la sua profonda metamorfosi. Un esempio illuminante, prima di vedere che cosa sia stato estromesso dallo spazio di Les Plaisirs et les Jours: il tema della gelosia. Sappiamo quanto è fondamentale nella Recherche, come ci insegnano gli amori di Swann e del narratore protagonista. Quel tema compare già nell’ultimo racconto di Les Plaisirs et les Jours, «La Fin de la Jalousie». Nella Recherche sarà un’altra versione di quella febbre ermeneutica che colloca il senso della realtà sempre dopo i fatti: il geloso non capisce e vuol capire, e capirà sempre troppo tardi, perché, per tutti, la vita vive veramente solo nel dopo, nella memoria rivelatrice. Nell’ultimo racconto di Les Plaisirs et les Jours, invece, il geloso è solo un ossessionato; e la sua ossessione è un modo dell’amore.
I racconti che Proust ha escluso da Les Plaisirs et les Jours parlano per lo più di omosessualità, e questo spiega l’esclusione. Anche l’omosessualità – maschile e femminile – è tema fondamentale della Recherche, dove avrà una diffusione strutturante. Nel libro d’esordio, evidentemente, il tema non doveva entrare (un altro racconto omosessuale, «Avant la nuit», uscì in rivista nel 1893 e lì rimase confinato). Quei racconti avrebbero solo annunciato troppo dell’autore, non essendo parte, come sarà nel romanzo, di un ordine che lo giustificasse e rappresentasse in quanto linguaggio sociale a sé e, al tempo stesso, lo rendesse compatibile a quel sistema della doppiezza cui appartengono i meccanismi meno scandalosi, ma perfettamente analoghi della gelosia e della memoria. Infatti, anche l’omosessuale è, come il ricordo o l’infedele, un essere che (si) nasconde e (si) rivela, e pertanto trascina l’interprete – narratore o lettore che sia – nell’esperienza rigenerante del “comprendere dopo”.
Rispetto alle narrazioni di Les Plaisirs et les Jours, specie le ultime composte, i nove racconti esclusi appaiono più evanescenti, perfino provvisori. Quello eponimo, «Le mystérieux correspondant», pecca di «pittoresco troppo facile», per dirla con de Fallois, sebbene gli inspiegabili biglietti amorosi che la protagonista raccoglie per casa – ma spiegabilissimi per il lettore – abbiano una loro elementare potenza. Riassumendo, potremmo dire che qui compare un Proust ancora sfacciatamente “romantico”, dove passione, solitudine, morte e infinito si mischiano in un basso continuo. A parte la specificità della questione omosessuale (proposta soprattutto in chiave femminile), i momenti di sicuro interesse sono vari, psicologici, estetici, linguistici. Indimenticabili un elogio dello spirito umano e uno della musica; la semplicità con cui il narratore parla di “grazia” e di “tristezza”; lo sguardo rapito che un capitano ricorda di aver rivolto anni prima a un brigadiere a cavallo. Traduco: «io gli dicevo con lo sguardo e con il sorriso cose infinitamente dolci. E dimenticando la realtà, per quell’incantesimo misterioso degli sguardi che sono come le anime e ci trasportano nel loro mistico regno dove svaniscono tutte le impossibilità, rimasi a capo scoperto, già abbastanza lontano per la corsa del cavallo, voltato verso di lui, finché non lo vidi più». Ma il fiore più bello del bouquet è senza dubbio «Le don des fées» («Il dono delle fate»), dove Proust (è il caso di dirlo, anziché tirare in ballo un generico “narratore”) riflette con profetica commozione sul suo destino di solitudine e malattia. Ecco quel che, china sulla sua culla, gli predice una fata: «Le mie sorelle ti hanno dato beltà, coraggio, dolcezza. Tu però soffrirai perché ai loro doni io, ahimè, devo aggiungere i miei. Io sono la fata delle squisitezze incomprese». 
A noi, tardi, comprenderle.