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 2019  novembre 02 Sabato calendario

La Cina prepara la sua valuta digitale

Ci siamo quasi. Per tenere a bada la moneta digitale di Facebook proposta da Mark Zuckerberg e il fiorire continuo di criptovalute e pagamenti digitali, ma anche per forgiare una nuova arma contro i dazi di Donald Trump e trattenere investimenti in patria, la Cina è in procinto di diventare il primo Paese al mondo a dotarsi di una criptovaluta di Stato basata sui sistemi di tecnologia blockchain. 
I segnali sono chiarissimi. Intanto le dichiarazioni pubbliche del presidente cinese Xi Jinping che ne ha auspicato l’accelerazione, e poi, una settimana fa, l’approvazione da parte del Comitato Permanente dell’Assemblea nazionale della legge per regolamentare i sistemi di crittografia alla base delle criptovalute. 
C’è anche il nome, piuttosto burocratico: Pagamento Elettronico di Valuta Digitale. Si sa anche che è strutturata su tecnologie simili a Libra di Facebook, ma la differenza netta con i concorrenti è che sarà gestita non da anonimi volontari-minatori, ma dalla Banca Centrale che può ispezionare ogni transazione. Siamo quindi al concetto opposto di Bitcoin che consente l’anonimato dei proprietari aprendo alla possibilità di usare la moneta digitale per illegalità di ogni genere. La nuova valuta di Pechino, invece, aumenterà la capacità di controllo sul denaro dei propri cittadini a livelli che nessuna Banca Centrale al mondo ha mai avuto. 
Infatti, come annuncia lo stesso direttore dell’Istituto di Ricerca sulla Valuta Digitale della Banca Centrale cinese, Mu Changchu, la nuova valuta potrà essere usata per pagamenti anonimi, ma con la possibilità di una «supervisione classificata» per prevenire scambi illegali, come il riciclaggio di denaro. Mentre oggi il pagamento in Bitcoin consente a chi lo riceve di scomparire tramite la frammentazione in una miriade di conti bancari, la valuta digitale di Stato cinese permetterà invece, tramite data mining, big data e comparazione di identità, di risalire ai colpevoli di possibili illeciti.
Ma il punto è che questa scelta si configura anche come un ulteriore passo del decoupling tra Asia e Occidente. Una delle motivazioni dell’accelerata sul progetto, delle dichiarazioni da fonti politiche e finanziarie cinesi che «i tempi sono maturi» per la criptovaluta di Stato, va ritrovata nel fatto che la Cina vuole proteggere le frontiere del suo capitale di fronte all’avvento di sistemi di pagamento globali e di tecnologie avanzate che possono facilitare il flusso incontrollato di contante. Insomma, è un modo per impedire ai propri cittadini di utilizzare Bitcoin per il «sommerso», convogliandoli sulla valuta digitale di Stato. Non solo la nuova moneta permetterebbe di utilizzare le tecnologie blockchain, rendendo desueti il contante e le carte di credito, ma consentirebbe di mantenere il controllo sulla massa monetaria e sul rischio di signoraggio. Proprio per questo, quello che ora sembra un gesto in anticipo sui tempi da parte di Pechino, potrebbe accelerare progetti simili in Europa e in altri continenti.