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 2019  ottobre 20 Domenica calendario

L’assurda premiazione di Bill Murray a Roma

«Perdonate, ma Bill Murray era ancora, per usare un eufemismo, in pigiama. L’incontro viene cancellato», dice alla platea di media il direttore della Festa del cinema Antonio Monda. Erano le 13, stava dormendo. «Ma ti ricordi quando al Festival di Berlino si presentò in ciabatte?», commentano due adoranti «orfane» temporanee. Temporanee perché più tardi, con «solo» mezz’ora di ritardo, l’eterno outsider, l’«altrove» di Hollywood, onora l’impegno di raccontarsi in pubblico, mentre riceve il premio alla carriera da Wes Anderson, il regista per il quale ha fatto nove film: «Bill, sei divertente in modo unico». 
Ecco l’attore, 69 anni, con i suoi capelli grigi ormai diradati, cammina felpato a piccoli passi. Alla fine dirà una frase che suona come l’ennesima legnata sul capo della sindaca Virginia Raggi: «Roma è una città bella, ma la parte più bella l’hanno fatta nell’antichità. Voi romani dovete averne cura, amarla». L’incontro, moderato dal direttore della rassegna Antonio Monda, si trasforma subito in happening. Frances McDormand, che ha un’antica complicità di set con Murray, è all’Auditorium, arriva di corsa, si fa sollevare sul palco dai fotografi, si siede in braccio all’attore: «Sono qui per lui. Bill può anche farti del male, una volta sul set mi lanciò rompendomi una costola». 
Succede un po’ un pasticcio perché Wes Anderson e l’attore non danno modo all’interprete di tradurre, la gente ha pagato 20 euro, c’è chi protesta e se ne va, apostrofato così dal festeggiato: «Vai via? Ti auguro una grande vita». Murray coi suoi modi corrosivi (e rudi) mima lo sbadiglio per la traduzione che arriva ma a singhiozzo, per lui fa perdere tempo: «Siamo americani aggressivi, sedetevi vicino a chi parla inglese. L’interprete è pagata per ogni parola che traduce». Arrivano videomessaggi, da Anjelica Houston a Jim Jarmusch che dice: «Hai rinvigorito il cinema indipendente americano con i tuoi incredibili personaggi, festeggio i tuoi folli successi». Bill Murray è qui da giorni, vestito come l’arcobaleno, giacca color senape, camicia viola, cappello blu. L’incontro procede a strappi, paradossi, ghirigori, nonsense, dettagli. Bill ricorda Sydney Pollack in Tootsie, «aveva avuto un figlio da poco, si alzava la mattina presto e c’era un bel tramonto da casa sua». Antonio Monda lo guarda perplesso: «È questo che volevi dire?». E Bill: «Sì, se un regista ti ricorda che sei vivo, anche vedere un tramonto è un dono». Wes Anderson, in completo a righe rosse e calze in tinta tirate giù, ricorda la scena in cui Bill «corre trasportando valigie, in realtà erano solo maniglie». Murray rivolto ai giornalisti: «Spero che i vostri articoli rispecchino la precisione. Una cosa seria la dice: «Sono fortunato. Nella prima parte della carriera mi ha aiutato John Belushi; nella seconda tre registi, Wes, Sofia Coppola e Jim Jarmusch».
Torna in modalità sorniona, stralunata, imperscrutabile. Il volto pieno di punti interrogativi, schivo, quando parla non ride mai. Da ragazzo portava la sacca con le mazze ai golfisti di Wilmette, dov’è cresciuto, quinto di nove fratelli. Recitò in Palla da golf. Tilda Swinton appare in video mentre gioca a minigolf: «Dalla Scozia con amore». Il nome di Bill Murray apparve in una lista di personaggi influenti a Hollywood: era il numero 26. Di tutti i film, il vero personaggio è lui.