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 2019  ottobre 19 Sabato calendario

Cronache dalla Leopolda numero 10

Goffrredo De Marchis, la Repubblica 19/10
La fila per attraversare la strada, la fila per entrare, la fila al buffet. Migliaia di persone in attesa già alle 18 quando l’apertura è alle 21. La Leopolda numero 10 sembra davvero la più partecipata di sempre e il colpo d’occhio fa crescere il peso di Italia Viva nel governo. Al di là dei sondaggi. Del resto, era questa la risposta su cui si è lavorato pancia a terra per il lancio del nuovo partito. Non poteva essere un fallimento. Il popolo di Matteo Renzi contro quello del Pd, dei 5 stelle, della Lega che scende in piazza e di Giuseppe Conte che prova a costruirsene uno.
L’ex premier si è visto nella vecchia stazione di Porta al Prato, insieme con la moglie e la figlia Ester, alle 15 per inaugurare la mostra dedicata al suo fotografo personale Tiberio Barchielli scomparso da poco. C’era già una piccola folla a quell’ora. Ma niente in confronto a quello che succede dopo, nel corso del pomeriggio, quando i renziani riempiono tutti gli spazi disponibili e sono tanti quelli che hanno deciso di seguire il capo fuori dal Pd. E alle nove di sera Renzi appare davvero sulle note di Natural degli Imagine dragons come una star, secondo il credo del manager della tv Lucio Presta, seguito da una telecamera mentre fa il bagno di folla. «Questo popolo c’è e dovete farci i conti», è l’esordio di Renzi dal palco.
Cosa avrà in cambio la gens renziana nella tre giorni della kermesse? La battaglia delle tasse, per cominciare. Oltre quota 100, perché il vero terreno di sfida di Renzi dentro al governo, nel cuore della manovra e del decreto fiscale sono le imposte. «L’esecutivo ha ridotto la pressione fiscale con la legge di bilancio», ha detto Conte. Renzi ribatte: «Non è affatto detto che nel 2020 finisca così». E su questo è pronto al duello interno.
Italia Viva mette nel mirino le pratiche burocratiche che investono le partite Iva, la tassa sulle bibite gassate, l’imposta di registro che aumenta e chiede quindi altro gettito ai proprietari delle case a cui si aggiunge l’aumento della cedolare secca. «Su quota 100 faremo una battaglia che temo sarà solo una battaglia di testimonianza, visti i numeri», dice infatti il fondatore di Italia Viva (Iv). «Sui microbalzelli come la sugar tax o le imposte sulla casa o sul desiderio di complicare la vita alle partite IVA invece ci faremo sentire. E sono certo che anche altre forze della maggioranza bloccheranno questi inutili microbalzelli Sembra un ultimatum, un ricatto, dice il dem Dario Franceschini. «Sono idee – replica Renzi –. E noi diremo sempre la nostra senza ogni volta essere accusati di volere la caduta del governo». Ma il braccio di ferro è dietro l’angolo. Da Washington la risposta del ministro dell’Economia Roberto Gualtieri assomiglia alla premessa di una sfida: «Troverà alleati contro queste imposte? Più che altro Renzi deve trovare le coperture». In quel “salvo intese”, nel dibattito parlamentare Luigi Marattin, vice capogruppo di Iv, pensa che ci sia lo spazio per modificare i numeri, le cifre. E individuare le coperture. «Agire sulla spesa pubblica si può. Quelle mini tasse valgono mezzo miliardo di euro. Possiamo trovare altre soluzioni invece di aumentare la pressione fiscale anche se di poco».
Renzi vuole aprire il fronte tasse sulle partite Iva. Difendere quel mondo che è il bacino del consenso a destra. Che è l’elettorato del Nord, del mondo produttivo. E rappresenta tanti giovani, che sono il target principale da conquistare. «Su quota 100 – dice Marattin – siamo pronti alla sconfitta. Anche a fare una brutta figura con un emendamento bocciato. Ma è una battaglia di principio. Sui mini-balzelli invece si può e si deve lavorare perché l’obiettivo è far scendere la pressione fiscale e non è ancora chiaro se con questa manovra succederà».
La richiesta al ministro del Tesoro è di avere coraggio, diminuire la spesa in beni e servizi. «Perlomeno fermarla», dice Marattin. Perché negli ultimi anni è sempre cresciuta togliendo risorse. E queste risorse Renzi vuole che non siano recuperate con nuove imposte, mettendo le mani nelle tasche degli italiani. Slogan che siamo abituati a sentire fuori dal centrosinistra. Ma l’ex premier ormai si muove a tutto campo.


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Fabio Martini, La Stampa 19/10
Rieccolo Matteo Renzi, là dove tutto è cominciato dieci anni fa: tra i muri scrostati e le impalcature rugginose della vecchia Stazione Leopolda. E quando alle 9 della sera, finalmente lui compare, dopo che in cinquemila lo avevano atteso per tre ore, va in scena il tripudio. Renzi attraversa i cento metri del corridoio centrale della Leopolda e chi può lo abbranca, gli stringe mano, dita, spalle. E Renzi, con una telecamera che riprende la scena dall’alto, si concede, abbraccia e si fa abbracciare. Dà del tu a tutti, affetta semplicità, ostenta simpatia nella sua camicia bianca e nei suoi jeans sdruciti.
Rieccolo il ragazzo di Rignano, dieci anni dopo la prima volta. In questo decennio è come se avesse vissuto più di una vita: sindaco, leader di partito, capo di governo, un’accoglienza da star alla Casa Bianca, ma poi la caduta rovinosa e ora il complicato tentativo di resurrezione. È sempre lo stesso: «Dov’è Agnese?», chiede nel pomeriggio, appena perde di vista la moglie, che col suo stile sta sempre un passo indietro. Ma poi è prontissimo a scartare, vincendo un momento di commozione mentre ricorda il suo fotografo a palazzo Chigi Tiberio Barchielli e di punto in bianco si rivolge al rodeo dei giornalisti: «Ci sono domande? Vai…».
A 44 anni Matteo Renzi si gioca, a partire dai tre giorni della Leopolda, la possibilità di una seconda vita. Lui lo sa e soprattutto ha intuito il tarlo che potrebbe corrodere la piattaforma del suo rilancio: l’etichetta di sfasciacarrozze che Nicola Zingaretti e il presidente del Consiglio stanno provando ad affibbiargli. Trasformandola in uno stigma, un marchio indelebile: qualsiasi cosa Renzi faccia o dica, lo fa per rompere, per dividere. Che sia legittima difesa dei suoi avversari o piuttosto un’arma sporca per delegittimare ogni sua proposta, il rischio c’è e Renzi lo sa.
Un pericolo? Lui sembra non crederci e in un attimo di tregua dalla mischia selvaggia di cronisti e cameraman che lo inseguono, Renzi risponde, così: «Faremo il nostro lavoro senza polemiche: zero polemiche!». Non c’è dubbio: Renzi ha metabolizzato il pericolo di quell’etichetta e per il momento si misura la palla, trattandola a bassa velocità. Ma la vera «notizia» di queste ore è la reazione in casa Pd al protagonismo di Renzi: il segretario Nicola Zingaretti pensa - e fa sapere - che se Matteo immaginasse di far cadere il governo Conte, il Pd sarebbe pronto ad affrontare subito elezioni anticipate – ed è già una sorpresa – e sarebbe pronto a farlo nientedimeno che con l’attuale presidente del Consiglio come candidato premier, arrivando a scaricare Italia viva dalla coalizione elettorale. 
Una minaccia hard da parte di Zingaretti, visto che con Conte candidato di coalizione il Pd si trasformerebbe in un’appendice dei Cinque stelle. Ma comunque una minaccia clamorosa. Che ne dice Renzi? Lui sorride: «Dico che Zingaretti sbaglia. Anche perché lo sanno tutti che la legislatura durerà sicuramente sino al 2023. Il problema è come arrivarci. Se lo facessimo cadere noi che l’abbiamo fatto nascere un mese fa, ti ricoverano per schizofrenia». E Conte? «Lui è giusto che faccia il lavoro che si è impegnato a fare. Pensi al futuro del Paese, non al suo. E andremo d’accordo».
Certo, più che il confronto tra diverse idee di Paese, sul futuro politico pesano assai i calcoli personali dei principali notabili. Da questo punto di vista un segnale in codice lo ha lanciato proprio Renzi, nel suo saluto al popolo della Leopolda, i cinquemila schierati in platea. A un certo punto l’ex leader del Pd ha ringraziato Raffaele Cantone che l’altro ieri ha lasciato la presidenza dell’Autorità anti-corruzione. Ad agosto nelle trattative dietro le quinte che hanno preceduto la formazione del Conte-2, Cantone è stato brevemente il candidato di Renzi alla presidenza del Consiglio, incontrando però la resistenza di Dario Franceschini che forse vedeva in lui un possibile concorrente per la futura corsa al Quirinale. 
Certo, di tutte queste alchimie non si parlerà alla Leopolda, che servirà a Renzi soprattutto a mettere le radici al suo nuovo partito, Italia viva. Per ora la scissione parlamentare, 27 deputati e 16 senatori si è attestata su percentuali (4,3% alla Camera e 5% al Senato) che curiosamente corrispondono quasi come una decalcomania ai primi sondaggi, mentre in giro per l’Italia stanno crescendo le adesioni da parte di quadri e consiglieri comunali. Dice Renzi: «L’obiettivo sono le due cifre. Ci arriveremo presto». Renzi sa di doversi confrontare con due «zoccoli duri», quello dei tifosi e quello dei nemici. Due nuclei tostissimi, quasi inossidabili. Il primo test era rappresentato dalle presenze alla Leopolda: in quasi 25mila si sono prenotati, più dello scorso anno e ieri pomeriggio due ore prima dell’inizio dei lavori, hanno chiuso i cancelli. Certo, pranzo e cena gratis aiutano, ma aiutavano anche negli anni scorsi.



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Laura Cesaretti, il Giornale 19/10
«Zero polemiche, zero minacce e zero tensioni» col governo, promette Matteo Renzi.
La Leopolda numero dieci, che si è aperta ieri, è la prima senza il Pd: a un mese esatto dalla scissione e dalla nascita del suo nuovo partito, Italia viva, l’ex premier torna a Firenze e prova ad aprire una nuova fase. Il blitz estivo che lo ha visto sbarrare la strada del voto ad un frastornato Salvini e nel sospingere il Pd verso il governo Conte bis gli ha regalato un rinnovato protagonismo, e la Leopolda è la vetrina ideale per celebrarlo. Con un intento: strattonare il governo, ma senza metterlo a rischio, come ha messo in chiaro da subito: «Leggo di strane idee: Renzi vuol fa cadere il governo... Ma sei hai fatto nascere il governo un mese fa e dopo un mese lo fai cadere, ti ricoverano per schizofrenia», ha detto aprendo l’evento. 
Presidiare il centro liberale che rifugge il populismo del centrodestra salviniano e del centrosinistra grillino; togliere ossigeno politico e spazi di manovra al Pd; recuperare il voto moderato di Forza Italia. Non a caso Renzi fa sapere che gli piacerebbe avere alla Leopolda Mara Carfagna e darle «un ruolo da protagonista».
Le assenze però pesano più delle presenze: non solo, come è comprensibile, non c’è nessuno del Pd zingarettiano, ma non ci sono neppure i compagni di strada di una vita che hanno rotto con il leader. Dall’amico fraterno Luca Lotti all’instancabile mediatore Lorenzo Guerini, che Renzi aveva soprannominato «Arnaldo» come Forlani. Dal capogruppo dei senatori Andrea Marcucci al direttore di Democratica Andrea Romano alle pasionarie Alessia Morani, Simona Malpezzi, Alessia Rotta, Anna Ascani. Al toscanissimo Dario Parrini che scuote la testa: «La Leopolda non è più la stessa cosa: questa è il congresso fondativo di un nuovo partito». 
«Certo dispiace per tanti amici che non ci sono, ma per noi è una liberazione essere usciti dal Pd», assicura il renziano Luigi Marattin, che segue la manovra per Italia viva. Per Renzi sarà una Leopolda «simile a quella delle origini: di sfida, da pionieri». E taglia corto con gli amarcord: «Anziché perderci in struggenti nostalgie ragioneremo di come sarà il mondo tra 10 anni. E di quale Italia vogliamo». Come in ogni edizione, l’ex premier sarà il mattatore. I vip degli anni di Palazzo Chigi non ci sono più, ma le immagini di quei tempi campeggiano sulle pareti di una mostra fotografica che Renzi ha inaugurato, dedicata all’amico e fotografo, Tiberio Barchielli, morto un anno fa. Tra le foto esposte, quella che più piace all’ex premier lo ritrae seduto in chiacchiere con Obama e la Merkel, durante un G7. Ma quella che forse più colpisce lo ritrae mentre passeggia tra gli alberi della residenza dell’ambasciata italiana a Washington insieme al suo ministro degli Esteri Paolo Gentiloni: fianco a fianco, sorridenti, con l’atteggiamento complice dei vecchi amici. Pochi anni fa, tre governi fa, una vita fa.



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Maria Teresa Meli, Corriere della Sera 20/10

È la prima Leopolda dopo la scissione. La fila per entrare comincia alle sei del mattino. Ma alle nove e mezzo la sala è strapiena. In tanti restano fuori. Oggi per l’intervento di Matteo Renzi ci sarà un maxischermo all’esterno.

È la prima Leopolda dopo l’addio: la platea è curiosa di conoscere il nuovo simbolo. Allo studio ce n’erano 31. L’ex premier ne ha selezionati tre. Li ha fatti votare sul web. Ha vinto, con il 63 per cento il secondo, quello con la V di Viva Italia che ricorda un gabbiano che si libra in volo (l’ex premier preferiva il primo): quando viene calato dall’alto sul palco Renzi si commuove. 

È la prima Leopolda dopo la separazione, che non è stata consensuale. Si è portata strascichi polemici e ha seminato rancori. Il Pd decide di mettere sotto attacco Iv nel giorno del suo battesimo. Partono salve di dichiarazioni dal Nazareno. «Vogliamo dimostrare che Renzi è inaffidabile», dicono. L’ex premier lo ha capito e avverte i suoi: «Non cadiamo nella trappola». Ma ormai la polemica si è innescata. I dem attaccano Maria Elena Boschi, che ha sostenuto che il Pd «sembra diventato il partito delle tasse». Renzi cerca di circoscrivere la polemica e affida la pratica a Francesco Bonifazi, che dichiara: «Dire che il Pd è il partito delle tasse è sbagliato, allo stesso tempo però va detto che le tasse non devono aumentare». 

Ma il cannoneggiamento pd contro Iv continua. Andrea Orlando attacca direttamente Renzi. Dalla Leopolda il vicepresidente della Camera Ettore Rosato manda una frecciata all’indirizzo del Pd e di Nicola Zingaretti: «Sapete a chi non piace un partito con il leader? A chi il leader non ce l’ha». 

I dirigenti di Italia viva comunque non ci stanno a passare per i guastatori del governo. Per quelli che rischiano di portare il Paese alle elezioni: «Noi — spiega Boschi — non abbiamo nessuna intenzione di mettere in difficoltà Conte e non facciamo ultimatum ma non possiamo nemmeno restare silenti». Già, l’impressione, qui alla Leopolda, è che questo fuoco concentrico serva anche a impedire a Iv di mandare avanti i suoi emendamenti alla manovra. Eppure, Iv non intende forzare nemmeno su quelli. Spiega Luigi Marattin: «Noi vogliamo essere rispettosi di come si sta in una maggioranza e vogliamo discutere le nostre proposte di modifica con le forze che appoggiano il governo». Piuttosto, lasciano intendere da Iv, sono altri a non essere rispettosi. La risposta che dà Teresa Bellanova ai giornalisti che le chiedono quale sia lo stato dei rapporti con il premier è indicativa in questo senso: «Noi abbiamo chiesto un incontro al Capo dello Stato e siamo stati ricevuti la settimana scorsa, abbiamo chiesto un incontro a Conte e ci ha risposto che ci farà sapere una data». 

A sera Renzi tiene la linea concordata: non si molla sugli emendamenti ma non si attacca Conte. E spiega al Tg2: «Non rispondo alle polemiche sul Pd. La manovra ha degli aspetti positivi, ma anche qualche tassa di troppo, per esempio la sugar tax o i balzelli sulle partite Iva. Su queste faremo battaglia in Parlamento. Io sono pronto a scommettere che queste tasse saranno eliminate dal lavoro dei parlamentari. E presenteremo un emendamento su quota cento e vedremo chi vince. Comunque non facciamo ultimatum, ma non si può nemmeno pensare che la politica sia populismo e demagogia come fanno altri». Un riferimento a Conte?


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Gian Antonio Stella, Corriere della Sera 20/10

«Grazie, Matteo». «Grazie, Matteo». «Grazie, Matteo». Manco fossero stati scarcerati dai pozzi della Cayenna coi pipistrelli vampiro, gli ex capigruppo, vicepresidenti del parlamento, deputati, onorevoli, ministri sfilano alla Leopolda ringraziando Matteo Renzi per averli liberati finalmente dal Partito Democratico. Prigionieri, ecco come si sentivano. Reclusi. Intrappolati.

Chiusi dentro una vecchia ideologia, una vecchia ditta coi cardini arrugginiti, un partito dove tutto era odio, rissa, contrasto, litigio, spaccatura… Sia chiaro: i democratici salteranno su dicendo di avere solo difeso accanitamente i cari valori di una volta sconvolti dalla irruenza guascona e prepotente del giovanotto arrivato da Rignano e impostosi a Roma senza guardare in faccia nessuno e senza rispetto per la storia. Ma certo colpisce, alla Leopolda, la parola che più viene ritmata praticamente in ogni intervento: libertà, libertà, libertà…

E ha un bel dire, Ettore Rosato, che quello appena battezzato con un simbolo un po’ nuovo e un po’ no che si richiama sfacciatamente con la V alle ali del gabbiano dell’Italia dei Valori dipietrista, non è un «partito del leader» ma «un partito con un leader». Ovvio: questa deve essere la versione ufficiale. In realtà, a sentire un po’ tutte le persone asfissiate in un’afa agostana sotto le volte dell’antica stazione fiorentina, il senso di questo battesimo festante con una folla che forse nessuno avrebbe potuto immaginare, la pensano come una signora bionda non più giovanissima ma pugnace che sintetizza: «Italia viva è proprio quella che chiamiamo la casa dei renziani». Tié.

Certo, lo smalto del quarantenne che conquistò il paese guadagnandosi luccicanti copertine come quella dove stringeva a sé nonna Annamaria e nonna Maria promettendo agli italiani «rottamerò quei politici (non le mie nonne)», è un po’ ammaccato. E non sarà facile, per lui, ripetere frasi come quelle di allora: «Ora che siamo alla vigilia delle primarie vedo il cambiamento possibile, davvero non ci siamo mai stati così vicini. Ma se perdo c’è la vita, fuori, ed è fantastica. Vorrei gridarlo a tutti i politici: uscite dal Palazzo, godetevi la vita». Dopo aver fatto l’opposto, però, può dire che un altro, al posto suo, sarebbe uscito tritato dagli eventi.

E invece eccolo qua, coi primi sondaggi buoni e la convinzione che possano diventare più favorevoli. Un punto appare indiscutibile: i «suoi» sono innamorati quasi (quasi) come una volta. Quando faceva il guascone e dopo essersi imposto come sindaco di Firenze fece il bullo maramaldeggiando sugli avversari sconfitti: «Non ho vinto io perché ero un ganzo, è che gli altri erano fave».

C’è di tutto, tra la gente che la mattina si affolla intorno ai tavoli dell’ex stazione ferroviaria dove, se fosse possibile parlare e soprattutto ascoltare in mezzo al baccano indescrivibile di voci che si accatastano l’una sull’altra, si potrebbe davvero discutere dei temi più importanti. E così al pomeriggio, quando sfilano al microfono gli invitati. Sui quali spicca, toccando le corde di tutti, la testimonianza di una farmacista in carrozzina colpita dalla Sla. Una donna forte. Coraggiosa. Che, con la voce rotta dall’emozione, incoraggia la politica a investire di più nella ricerca, l’unica che può offrire speranze a quanti soffrono e più ancora chiede, «quando sarà» un po’ di rispetto per le scelte del fine vita. Occhi lucidi. Silenzio.

Si riprende. C’è il giovane amministratore venuto a spiegare come hanno fatto lui e altri a battere la Lega in varie città della Lombardia e perfino a Varese. C’è il ragazzo arrivato dalla Puglia che spiega come lui fosse sempre stato del Partito democratico ma ringrazia Matteo «per aver messo fine al governo del bullismo ma anche per aver messo fine all’ipocrisia del Pd». E un altro eccitatissimo appena rientrato dall’estero: «Ciao Leopolda! Ero a Praga. Stavo bene. Ma quando ho saputo che Renzi costruiva Italia viva ho preso il primo volo per tornare in Italia». C’è chi vuole lavorare e non «ricevere l’elemosina per stare sdraiato sul divano» e chi come il sindaco di Sasso Marconi Stefano Mazzetti esulta: «Oggi sono libero!».

È solo l’inizio e troppo entusiasmo finirà comunque per scontrarsi poi con la dura realtà quotidiana? Sicuro. Almeno oggi, però, i «Renzi boys» fanno spallucce. Ci penseran domani. Oggi si fa festa. Ridendo delle battute del leader («Avete sentito Grillo: bisogna togliere il voto agli anziani! La verità è che bisogna togliere il fiasco a lui!») e andando a rileggere quella poesia di Giovanni Pascoli che, dopo le querce e gli ulivi e le margherite di altre stagioni, ha ispirato come pianta simbolo la scelta del corbezzolo tricolore: «I bianchi fiori metti quando rosse/ hai già le bacche, e ricominci eterno,/ quasi per gli altri ma per te non fosse/ l’ozio del verno; / o verde albero italico, il tuo maggio/ è nella bruma: s’anche tutto muora,/ tu il giovanile gonfalon selvaggio/ spieghi alla bora…» Oggi chiusura. Trionfo annunciato. E poi? Poi si vedrà…


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Fabio Martini, La Stampa 20/10

Negli enormi, scrostati locali dell’ antica Stazione Leopolda, ai giornalisti è riservata un’area ben definita ed è lì che alle 11,15 si presenta Maria Elena Boschi che di Italia Viva è la seconda voce, dopo quella del capo. Ma se Maria Elena ha deciso di presentarsi, evidentemente avrà qualcosa di importante da dire. Le sue prime parole sono queste: «Il Pd sta diventando il partito delle tasse», mentre le imposte, «noi le abbiamo sempre abbassate e vogliamo evitare che aumentino». A prima vista sembra una delle tante punzecchiature che il nuovo movimento renziano infila nel costato del Pd ma col passare delle ore quella esternazione contribuirà a produrre una sorpresa: il primo evidente dietrofront nella breve vita di Italia Viva, il nuovo partito di Matteo Renzi. 

Perché Boschi aveva colpito il Pd, ma di rimbalzo aveva ferito anche il governo del quale il partito guidato da Nicola Zingaretti è diventato oramai il più inflessibile sostenitore. E infatti nelle ore successive l’esternazione di Maria Elena Boschi contribuiva ad ingrossare le onde che si alzavano fino a colpire il presidente del Consiglio in trasferta a Perugia. Anche a Firenze arrivava il tam-tam: Conte è furibondo con Luigi Di Maio, ma anche con Maria Elena Boschi e con i renziani. Ecco perché nel tardo pomeriggio Matteo Renzi era costretto ad ordinare una correzione di rotta. E alle sei della sera si completava una curiosa sequenza: nella stessa area stampa nella quale si era presentata sette ore prima Boschi, compariva Francesco Bonifazi, vicinissimo a Renzi: «Per me il Pd non è il partito delle tasse. Dirlo è sbagliato. Allo stesso tempo però va detto con chiarezza che le tasse non devono aumentare». E in serata Matteo Renzi al Tg2 ribadiva il punto: troppe tasse ma se ne parla in modo ordinato in Parlamento.

Un dietrofront che racconta un conflitto tutto all’insegna della comunicazione - spin contro spin - che sta trasformando la natura dello scontro dentro la maggioranza di governo. Da una settimana, tra Pd e Italia Viva è in atto quella che si potrebbe definire la "guerra delle etichette". Per primo è partito il Pd, che ha affibbiato a Renzi il marchio dello "sfasciacarrozze": è bastato che l’ex premier chiedesse la modifica di alcuni punti della manovra per rievocare l’antica natura del rottamatore inaffidabile. 

E d’altra parte non era stata una carezza quella di Maria Elena Boschi: con nonchalance aveva soffiato sul Pd un venticello assai insidioso: l’accusa di essere tornato ad essere il partito delle tasse. E si sa come vanno certe cose in questa stagione: il venticello parte, invade i Social, entra nei titoli giornali e nei pastoni dei Tg. E quando un venticello diventa virus son dolori. Tanto più per un partito che le tasse le ha nel Dna, a partire dalla stagione di ministri come Vincenzo Visco e Tomaso Padoa Schioppa, che ebbe il coraggio ma anche l’estremo ardire di affermare che «le tasse sono una cosa bellissima». 

Certo, le nuove tasse e l’aumento di imposte già esistenti ammontano a circa 4 miliardi, non poco, ma mettere tutto sul conto del Pd per affibbiargli quella etichetta si è rivelata un’operazione hard. Al Pd avevano accusato il colpo. Si scomodava il ministro Francesco Boccia: «Da parte di Boschi una caduta di stile. Le consiglio di essere alternativa a piazza San Giovanni». Per la prima volta Matteo Renzi ha sperimentato quanto sia difficile misurarsi la palla con un governo che si vorrebbe logorare, ma che non si può far cadere. Perché, per dirla con le sue parole: proprio lui, che ne è stato fautore, apparirebbe uno "schizofrenico" se contribuisse ad abbatterlo.


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Goffredo De Marchis, la Repubblica 20/10 –

«L’unica ragione di vita di Conte è quella di fregare me» . Matteo Renzi alla Leopolda vara il simbolo del nuovo partito in un tripudio di luci e musica e non fa niente per smentire le tensioni con il presidente del Consiglio e l’idea di uno scontro che nasce da un patto del premier con il Pd. Ogni giorno la rottura sembra a un passo. Ma Renzi ribalta lo schema. Lui l’agnellino, gli altri i lupi. Lui buono, gli altri cattivi. Italia Viva non studia sabotaggi, semmai è costretta a difendersi da chi la considera un pericolo. «Avete ragione — dice ai suoi fedelissimi — non dobbiamo fare gli sfascisti, dobbiamo imparare a stare in coalizione. Non alimentiamo polemiche. Però il comportamento di Conte mica è normale».

Così la linea dura dev’essere immediatamente corretta. Nell’affollatissima kermesse fiorentina Maria Elena Boschi dice chiaro e tondo: «Il Pd è il partito delle tasse, noi siamo un’altra cosa» . È la miccia che Renzi non vuole accendere. Non adesso, per calcolo: non sia mai Pd e Conte immaginassero davvero di andare al voto. Italia Viva non è affatto pronta. Anche se lui è il primo a dire che certe tasse o microtasse del decreto fiscale non vanno, che con i 5 Stelle si può provare a cambiare le cose in corsa. Ma senza andare oltre. «Faremo un emendamento anche su quota 100, vedremo chi vincerà in Parlamento».

Le parole della capogruppo di Italia Viva alla Camera spiazzano infatti i partecipanti alla Leopolda, molti dei quali sono ex Pd, presentati sul palco in pompa magna come fuoriusciti, come portatori di uno spirito libero che tra i dem era ingabbiato. La scissione però è sempre un po’ dolorosa e certi colpi bassi non sono graditi. «Io l’ho detto a Matteo e ad altri. Gli addii sono un terreno scivoloso — spiega Giacomo Portas che ha portato i suoi “Moderati” sotto il nuovo simbolo — Guardate Leu, la guerra non ha pagato. Bisogna ragionare di un campo largo del centrosinistra, non dividerlo. Aggiungere, non togliere» . Perciò Portas non si spiega l’uscita della Boschi: «È una ragazza intelligente, preparata ma stavolta ha proprio sbagliato. Non la capisco» .

Che abbia sbagliato lo pensa anche Renzi. Con un po’ di ritardo sente il malumore del suo popolo, legge sul telefonino il fuoco di fila di dichiarazioni del Pd che sembrano trovare un bersaglio facile. Allora non corregge in prima persona, lascia il compito a Francesco Bonifazi, un altro del Giglio magico. «Per me il Partito democratico non è il partito delle tasse e dirlo è sbagliato» , è la smentita di Bonifazi. Anche la ministra Teresa Bellanova sposta il baricentro della discussione. «Io dico che noi siamo no tasse». Senza accusare altri di essere dei Dracula.

La pezza viene cucita solo in parte. Qui alla Leopolda emerge con chiarezza il trauma della scissione, la competizione con il Pd, il tentativo di sottrarre pezzi dem uno a uno. E anche un modo di stare al governo da sfidanti giorno dopo giorno. «Io non faccio polemiche dirette con Conte. L’altro giorno ho fatto intervenire Rosato, avete visto?» , spiega ancora Renzi ai fedelissimi per dimost rare tutta la sua buona volontà. L’ossessione di essere rassicurante accompagna la parabola renziana dai tempi delle primarie contro Bersani (2012). Non si dava pace, Renzi, perché l’avversario aveva comunicato meglio di lui una forza tranquilla. Ma non è il suo carattere. In più c’è da lanciare il movimento, vederlo crescere nei sondaggi, renderlo appetibile per chi soffre nel Pd. Ettore Rosato non è proprio quello che si dice un moderato. Infatti è l’unico a dire: ha ragione la Boschi sulle tasse.

Zingaretti però ha reagito. In contatto con il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, in giro per l’Umbria «dove i leader ci mettono la faccia anche se è dura» e il riferimento è a Renzi che appena qualche giorno fa diceva: «L’Umbria? Ma noi li non partecipiamo» . Anche Nicola Zingaretti ha scatenato i suoi collaboratori. Enzo Foschi, vice presidente del Pd romano, usa la clava: «Noi non diciamo che Italia Viva è il partito di Banca Etruria e dei banchieri» . Intanto l’ha detto. Poi c’è la reazione moderata ma allusiva del presidente dell’Europarlamento David Sassoli: « Mi auguro che nessuno disperda la fiducia che l’Italia ha ora in Europa» .

È una guerra di nervi e siamo solo all’inizio. Fuori dalla Leopolda, seduto su un gradino, un signore elegantissimo teneva in braccio un manichino di donna col velo e un cartello: «Oggi sposiamo le buone maniere» . Un avvertimento al governo giallo-rosso?