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 2019  ottobre 14 Lunedì calendario

Biografia di Eric Cantona

«Il pallone è come una ragazza, prima le piace essere accarezzata, e poi violentemente sbattuta». Una cosa così può averla detta solo Eric Cantona, l’unico francese amato dagli inglesi. In molti sono convinti che la sua storia abbia ispirato la carriera di Quentin Tarantino, ma è molto più pulp, neanche il regista ha osato spingersi a tanto.
Les Caillols è un sobborgo di Marsiglia, la città più multietnica del mondo in fuga da se stessa, e qui si sono innamorati Albert Cantona, sardo di Ozieri, vagabondo, un fegato spappolato in guerra, e Eleonore Raurich, figlia di rifugiati catalani. E qui è nato Eric il 24 maggio 1966, radici forti, al punto che girava la voce fosse venuto al mondo in una caverna. Solo perché nonna Lucienne era proprietaria di una cava, peraltro confiscata dall’esercito tedesco che ne fa un deposito di armi. Comunque papà Albert fa il tifo per l’Olympique Marsiglia, gioca in porta in una piccola squadra e obbliga i figli a fare altrettanto, tutti portieri, compreso Eric. Ma tutti e tre in porta sono troppi anche se Eric è il più bravo. Quando una sera arriva a Marsiglia l’Ajax di Johan Cruijff e rimane fulminato dal profeta del gol. Esce dai pali e diventa subito la grande promessa del calcio francese, una mattina Guy Roux, il santone dell’Auxerre, chiama Celestino Tico Oliver del Caillolais e chiede notizie: «Prendilo subito, questo diventa un campione». A 17 anni debutta in Ligue 1 al fianco di Andrej Szarmach contro il Nantes di Michel Platini, e inizia a dare segni di squilibrio, dicono, solo perché si sposa e annuncia le sue nozze con Isabelle a cerimonia già in archivio. Guy Roux chiama il padre: «Ma insomma, suo figlio vuole diventare un vero calciatore o no?». Riduttivo: «Il calcio è un’arte minore, io sono interessato alle arti maggiori, non sono un uomo, sono Eric Cantona». Lo aspettano in sette fuori dallo spogliatoio, quattro li manda all’ospedale, gli altri tre scappano dalla paura. Poi taglia la corda, si infila un cappello da contadino e gira la Francia in autostop con in tasca Lo spleen di Parigi di Charles Baudelaire. Non è neppure il prologo.
Il film inizia a ventun’anni nell’Auxerre, cazzotto in bocca al suo portiere, il 5 aprile 1988 in coppa di Francia all’improvviso salta e sferra un mawashigeri a Michel Der Zakarian del Nantes, e lo tramortisce. Prende a pallonate l’arbitro, gli danno due mesi, si presenta alla Disciplinare e, a uno a uno, si mette davanti ai membri e urla in faccia: «Idiota!». Finge di abbattersi e annuncia il suo ritiro solo per andare in Val D’Isiere a sciare ma mentre è sulla funivia si mette a urlare: «Sapete chi sono? Sono Cantona e ritorno a giocare!». È grande e grosso, gli altri sciatori si rifugiano tutti in un angolo della cabina terrorizzati: «È pazzo». A volte le prende anche, con lo United a Istanbul contro il Galatasaray insulta l’arbitro, viene cacciato, lo vuole picchiare invece un poliziotto nel tunnel lo gonfia come un canotto. Al Montpellier, durante una banale discussione nello spogliatoio improvvisamente volano parole pesanti, Jean Claude Lemoult commette l’errore di mettergli le mani addosso, gli arriva un calcio preciso al volto e si risveglia al pronto soccorso.Altre ed eventuali, due memorabili. Bernard Tapie è uno degli uomini d’affari più potenti, ricchi e discussi di Francia, in giro non se ne parla bene, anzi. Ma lo sport è il volano perfetto per coronare le sue ambizioni politiche, prima mette in piedi una squadra di ciclismo e vince due Tour de France con Bernard Hinault e Grag Lemond poi nel 1986 compra l’Olympique Marsiglia e dopo gli acquisti di Jean Pierre Papin e Abedi Pelè, prende anche un giovanissimo Cantona. Succede che un brutto pomeriggio a Sedan, Eric viene sostituito e non la prende benissimo, scaglia il pallone in tribuna, si spoglia e getta a terra la maglia. Tapie chiama Cantona. Eric si presenta, davanti alla porta dell’ufficio del presidente ci sono le sue due guardie del corpo, lui si fa largo e la spalanca. Tapie è sorpreso, si alza, e lo affronta: «Vedi, quello che hai fatto non mi piace. Questa non è esattamente la mia idea del calcio, se ce ne sarà bisogno ti faccio ricoverare in una clinica psichiatrica», gli fa. Ma capisce subito che potrebbe finir male e cambia registro, apre il cassetto e tira fuori una mazzetta di franchi: «Ma ti perdono, ecco, questo è il tuo stipendio...». Eric neanche li conta, prima un destro al fegato, poi un sinistro alla mascella, Tapie vola dietro la scrivania. Eric lascia i franchi sparsi sul pavimento, apre la porta, le due bodygard fanno per fermarlo e lui: «Il principale ha chiesto di portargli un bicchiere d’acqua». L’altra è più nota, il colpo a Matthew Simmons, uno che sugli spalti del Selhurst Park del Crystal Palace non doveva starci, tifoso del Fulham, 25 gennaio 1995. Simmons è un ventenne di Thorton Heath, sud di Londra e non ha un passato limpido, è un estremista con precedenti, appena uscito da galera per aver menato un benzinaio cingalese. È un provocatore come Richard Shaw, il difensore del Palace che ha picchiato Cantona per tutta la gara fino alla sua espulsione per reazione. Quando passa davanti al seggiolino di Simmons diretto nello spogliatoio, questo si alza e inizia a urlargli «Francese di merda, torna al tuo Paese figlio di p...». Questa volta il colpo arriva a piedi giunti: «Nella lotta colpisci per primo». Se ne occupa Scotland Yard, arrestato, condannato e poi squalificato per otto mesi, sospeso dallo United con multa esagerata. Ma i Red Devils non possono fare a meno di lui, Alex Ferguson non può fare a meno di lui, neppure la Premier e le pene vengono commutate in 120 ore di servizi sociali, deve insegnare ai bambini come si gioca a pallone e come ci si comporta con compagni e avversari. Prima lezione, bambini in estasi e lui: «Oggi vi racconto un segreto. Ho un modo infallibile per calciare i rigori, la metto dentro».
Adesso è King Eric: «Il 1966 è un grande anno per il football inglese, è nato Cantona». Sfogliare il palmares per capire cosa è stato, calciatore del secolo per lo United, e poi cosa è diventato, scrittore, poeta, pittore, attore, capopopolo, filosofo, profeta, provocatore sempre, non basta qualche calata di piombo per arrivarci. Gira un film dove interpreta se stesso, si sveglia di notte, scende nella hall nudo, si imbatte in una signora: «Tranquilla, è in modalità notte». Dice: «Non posso girare ruoli da santo, sarebbe da ipocrita». Non si fa mancare niente, adesso ha un contenzioso qui da noi con la Forestale, ha messo le mani su vecchie strutture alla periferia di Cuglieri, ritorno alle origini sarde. Lui le ha definite vecchie stalle, l’amministrazione parla di pregevoli edifici cinquecenteschi, Eric vuole costruirci il suo regno, il Museo Cantona. Sistemerà anche questa faccenda a modo suo? Un giorno gli hanno chiesto di spiegare la sua vita e lui: «Premier League, maglia dello United, pochi minuti al termine, pioggerellina, fango, tutto sta per finire e non sono ancora riuscito a dare il colpo sotto alla palla, tutti i tifosi vogliono il mio classico pallonetto a bavero alzato: Oh oh, ah ah, Cantona. Poi l’inaspettato, calcio di rigore, mi presento sul dischetto, quattro passi indietro, il portiere sa che farò la scucchiaiata, parto per tirare giù la porta, lui ci casca, palla morbida, lo scavalco, ma si ferma sulla riga nel fango, si tuffa e l’agguanta. Rigore sbagliato. Ma parte un applauso che muove i muri dell’Old Trafford. E se la mia palla si è fermata nel fango, è giusto così».