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 2019  ottobre 09 Mercoledì calendario

Biografia di Antonio Albanese


Antonio Albanese, nato a Olginate, poco a sud di Lecco, il 10 ottobre 1964 (55 anni). Attore. Sceneggiatore. Comico. Regista. Cabarettista • Tra i suoi film: Uomo d’acqua dolce (diretto da lui stesso, 1996); Tu ridi (Paolo e Vittorio Taviani, 1998); i tre della serie di Cetto Laqualunque (Giulio Manfredonia, 2011, 2012, 2019); To Rome with Love (Woody Allen, 2012); L’Intrepido (Gianni Amelio, 2013); L’abbiamo fatta grossa (Carlo Verdone, 2016); Come un gatto in tangenziale (Riccardo Milani, 2017) • Famoso per le sue macchiette al cabaret e in televisione • «Io non imito i Vip, rubo la realtà. I miei sono personaggi che ho incontrato nei bar, sul tram. Sono più importanti di Berlusconi o Previti o Prodi per capire dove viviamo» • (Antonio Albanese) • «Meriterebbe un paio di lauree honoris causa, una in semiologia per i nomi geniali che dà ai suoi personaggi e una in sociologia» (Stefania Berbenni, Panorama, 21 maggio 2009) • La sua caricatura più famosa è Cetto Laqualunque, politico calabrese politicamente scorretto «che del voto di scambio dice “è mercato”, che trova posto a sua figlia come cardiochirurgo malgrado abbia la licenza media. E che ha come centro della sua campagna elettorale “chiu pilu per tutti”, ovvero donne, donnine e sesso facile al Minchionaire, il locale che fa il verso al Billionaire di Flavio Briatore» (Berbenni) • «Una grande maschera italiana, ormai superata dalla realtà» (Aldo Cazzullo, Corriere della Sera, 18/11/2017) • «Una grande tradizione alle spalle. Albanese è solo l’ultimo dei comici passati dalla televisione (previo transito in piccoli teatri o cabaret) al cinema non solo come attori ma anche come registi» (larepubblica.it) • «Fra tutti quelli che conosco, sono la persona che mi somiglia di meno».
Vita «Essendo nato a Lecco avrei dovuto fare l’industriale o lo spacciatore, e invece faccio il comico» • «Lei è figlio di un muratore. “Papà lasciò Petralia Soprana, borgo delizioso delle Madonie a 1.147 metri, per finire all’altro capo d’Italia: Olginate, sopra Lecco. Alzi lo sguardo e vedi il Resegone, lo abbassi e vedi le officine. Non partì per un vezzo culturale o per imparare le lingue; partì per fame”. È vero che non trovava casa? “Non cercavano scuse, glielo dicevano in faccia: non affittiamo ai meridionali. Così divise uno scantinato con altri siciliani. Si fece accettare poco alla volta. Giravo per il paese e lui mi diceva con orgoglio: ‘Vedi quel balcone? L’ho fatto io. Guarda quel davanzale; la padrona di casa ancora mi ringrazia’. Era un lavoro umile, ma mio padre ne era orgogliosissimo”. Il gusto del lavoro ben fatto. “Un signore del posto mi disse: ‘Se tüch i sicilian fussen cuma el to pà, la Sicilia l’era el Giapùn’. Non mi fece piacere. Era un’offesa ai siciliani, che abitano una terra meravigliosa e potente”» (ad Aldo Cazzullo, Corriere della Sera, 18/11/2017) • «Eravamo gli extracomunitari di oggi» • «La povertà della mia infanzia mi ha insegnato a non essere venale» • «Erano gli anni del boom edilizio. L’Italia era divisa in due, se volevi lavorare dovevi venire su. La storia si ripete oggi. Ci sono laureati al Sud che fanno i pizzaioli per campare» (Berbenni) • «Qual è il suo primo ricordo? “I viaggi in treno Milano-Palermo: 24 ore, 30 con i ritardi. Papà lasciava mamma, me, mio fratello e mia sorella in stazione con le valigie, e si incamminava verso il treno con altri disperati pronti a tutto. Ci saltava sopra al volo, occupava i posti, poi si sbracciava: “Presto, gettate le valigie!”. Ricordo ogni dialetto, ogni profumo. Salivano i ciociari, i casertani, i salernitani, i lucani, con certe frittate dall’effluvio che ti faceva lacrimare gli occhi. La Calabria non finiva mai. Preso dalla nostalgia, ho rifatto il percorso: ma con l’Eurostar ormai ci metti 9 ore, tra gente china sul cellulare”. Allora si conversava? “Insomma. Una volta avevo di fronte due siciliani che rimasero in silenzio assoluto per 22 ore. Alla vista dello Stretto, uno lanciò un bacio alla terra natia, tirò fuori un panino e mi rivolse finalmente la parola: “Lo vuoi un po’ di panino?”. Era la settimana santa, il viaggio fu davvero una Via Crucis. Ci fermavamo di continuo, quasi sempre in galleria. L’altro, dopo due ore inchiodati nella stazione di Termini Imerese, si animò, abbassò il finestrino e gridò a pieni polmoni: “Buttana de ’a miseria, amo a passari a Pasqua accà?”. Il treno ripartì subito”» (a Cazzullo) • A 15 anni Antonio lascia gli studi e va a lavorare in fabbrica: «Facevamo macchine per la trafilazione. Era un lavoro dignitoso e creativo: avevamo il disegno da realizzare al millesimo di millimetro. Il trafilato entrava nei rulli e diventava filo di ferro […] saprei usare il tornio, la fresatrice, la lesatrice, il trapano radiale. Non è inutile. Ho anche un tatuaggio tribale. Lo vuol vedere?”. Questo filamento sul polso? “Un truciolo incandescente si infilò tra la mano e il guanto. Fu più lo spavento che il male”. Come scoprì il teatro? “Mio fratello Ignazio frequentava Brera e mi portò a vedere Dario Fo, poi Gabriele Vacis» (a Cazzullo) • «Le piacque? “Impazzii”» (Malcom Pagani e Marco Travaglio, il Fatto Quotidiano, 17/12/2012) • «Due volte la settimana dopo il lavoro correvo in uno scantinato di Porta Romana, ai corsi di teatro di un argentino scappato dalla dittatura, Raul Manso. Un giorno mi disse: ‘Lo sai che sei portato?’. Così diedi l’esame alla scuola civica Paolo Grassi. Mi presero”» (Cazzullo) • «Prendevano dieci persone su 400. L’occasione è a tempo pieno, devo scegliere. Mi licenzio» (Pagani e Travaglio) • «E così lascia la fabbrica. “Il padrone, il signor Gnecchi, mi voleva bene e si ingelosì: “In quale altra fabbrica vai?”. Quando scoprì che volevo fare teatro mi incoraggiò”. E suo padre? “Incassò il dolore senza voltarsi. Disse solo: ‘Cazzi tuoi’”» (a Cazzullo) • «L’Accademia Grassi, ambientino piuttosto snob, l’ha messa a suo agio? “Non direi, almeno non subito. Il primo anno è stato duro, ero isolato, l’estrazione diversa pesava come un macigno. Ma io non mollavo: spettacoli, mostre, letture furiose... fino a un’illuminazione: io avevo di più, non meno di altri. Io avevo i fondamentali di una cultura popolare che non impari sui libri perché è fatta di fisicità, umanità, ritmi, colori, parole che in certi ambienti non sono mai pronunciate”» (Stefania Rossini, L’Espresso, 10/12/2009) • Antonio prende in affitto una stanzetta in periferia assieme a uno studente messinese, e si mangia tutta la liquidazione • «Ho fatto il cameriere e il barista, ho pitturato un appartamento, ho insabbiato una casa...”. Insabbiato? “Ci si mette una specie di scafandro e si disincrostano i muri con getti di sabbia: faticosissimo. Vendetti la macchina, un’Audi 80 di ventiduesima mano. Avevo un sax contralto, bellino, seminuovo: vendetti pure quello. Quando non avevo più nulla da vendere, mi presentai a Zelig”. Il cabaret di Bisio, Paolo Rossi, Gino e Michele. “C’erano anche Aldo Giovanni e Giacomo. Io avevo un personaggio drammatico, il paziente di un manicomio, Epifanio. Gli misi occhiali e un cappotto rubato alla scuola di teatro, e lo voltai in comico» (a Cazzullo) • «Una sera, allo Zelig, entrai e prima ancora che parlassi sentii che si mettevano tutti a ridere. Fu lì che capii che forse poteva mettersi bene» • «Io sono partito con intenti diversi: […] Cechov, Pinter. Quando ho scoperto la comicità ho avuto la sensazione di saper volare: rendermi conto del mondo e del nostro tempo» (ad Arianna Finos, la Repubblica, 9/1/2016) • «Faccio una seratina. Poi due, le 50 mila lire diventano 100, arrivano inviti da Verghiera, Samarate, i primi soldi. Poi la chiamata di Paolo Rossi e Giampiero Solari per Su la testa [su Rai 3, ndr] […] Cambiò la mia vita. Simona, l’organizzatrice, si avvicina eccitata: “Antonio, ci sono 2 mila persone”. E io serafico: “Io entro prima o dopo le star?”. E lei, incredula: “Sono qui per te”. Sbianco: “Io non salgo, scappo” […]. Uno choc» (Pagani e Travaglio) • Nel 1992 Antonio va al Maurizio Costanzo Show, ma il vero successo lo ottiene a Mai dire Gol dove i tre della Gialappa’s gli fanno fare l’allenatore del Foggia Frengo, Stop e Pier Piero, giardiniere di Berlusconi gay e interista • «Quando scoprii che il figlio di Silvio si chiamava Pier Silvio, faticai a crederci. Poi non resistetti. […] Macchietta innocente, fino a quando una mattina, mesi dopo, non mi telefonò mia madre. Donna umilissima, spaventata, atterrita […] Avevano arrestato ad Arcore il vero giardiniere di Berlusconi e Gigi Vesigna, direttore di una rivista oggi estinta, Il Telegiornale, mise in copertina la notizia”. Che c’era di strano?  “Nella foto c’ero io. Mamma aveva le palpitazioni”» (Pagani e Travaglio) • «“Con Frengo e la Gialappa’s fondammo un partito: ‘Forza Recchie de Gaumma’. Aprimmo le iscrizioni e invitammo alla partecipazione: ‘Fugge’, mèna mo’, tutti allo stadio […] Arrivarono cinquemila firme via fax e la domenica successiva, allo stadio di Foggia, i tifosi issarono duecento orecchie in polistirolo di due metri l’una. In tv, nel ’94, ci divertivamo» (Pagani e Travaglio) • Da allora, Antonio è famoso come comico. Crea un personaggio dopo l’altro: come Mino Martinelli, filosofo contemporaneo cocainomane, il professore Pacifico, mite insegnante di latino e il Ministro della Paura • Nel 2007 entra nella squadra di Fabio Fazio a Che tempo che fa con Cetto Laqualunque • Al 2019, ha fatto 22 film (quattro anche come regista) • Ma non ha mai lasciato il teatro: «Credo che per un attore la televisione sia un po’ come per un industriale una fiera: passa tantissima gente, hai la possibilità di farti vedere molto, tutti ti conoscono. E questo va benissimo. Ma gli affari veri sono altrove» (Antonio Albanese, la Repubblica, 22/4/1998) • Ha lavorato come regista in due opere di Donizetti: Le convenienze ed inconvenienze teatrali alla Scala di Milano nel 2009, e Don Pasquale nel 2013 al Filarmonico di Verona. «Scelta curiosa per un comico. “Al contrario, è una scelta fortunosa, ne sono uscito rigenerato. Ho scoperto una forma d’arte artigianale e completa, profondamente fisica. Una scelta curiosa semmai è quella di fare televisione”. Ma come? La tv le ha dato fama e successo. “Le confesso che cerco disperatamente di non diventare famoso: una battuta, ma ha qualcosa di vero […] quei luoghi televisivi enormi che mi hanno sempre spaventato» (Rossini)
Vita privata Vive tra Bologna e Milano • Separato dalla prima moglie, da cui ha avuto una figlia, Beatrice • «Desideravo un figlio da sempre, anzi una bambina, fin da quando ero piccolo» • «“Ti piacerebbe fare il mio lavoro?” le ho chiesto. E lei, sempre gentile gentile: “Secondo me, papà, è veramente troppo faticoso”» (Berbenni) • Un secondo figlio, Leonardo, avuto nel 2010 da Maria Maddalena Gnudi, figlia dell’ex ministro del governo Monti Piero Gnudi.
Politica «Lei è notoriamente di sinistra. “Dolorosamente di sinistra, direi”» (Rossini) • Della sinistra gli fa ridere «il pentitismo continuo, grottesco. E anche la disponibilità, soprattutto nel passato, a svendere i propri principi in nome di una malintesa modernità» (Curzio Maltese, la Repubblica, 28/4/2005) • «Gli italiani non possono che stare al centro, abbiamo il Vaticano, è il Paese che ha inventato la commedia d’arte, tutti un po’ Arlecchino, un po’ Balanzone, un po’ Pulcinella» (Berbenni) • «Berlusconi l’ha mai invitata a Palazzo Grazioli come ha fatto con Fiorello? “Non sa chi sono, perché non l’ho citato per nome nemmeno una volta. Una mosca bianca fra i comici. E guardi l’effetto boomerang: più viene sbeffeggiato, più sale il gradimento. Non è colpa di una persona, è stato un momento, un atteggiamento di tanti, coincidente. Così la satira si impoverisce, diventa monotona» (Berbenni) • «Come sarebbe? Non è nella natura del comico la satira del potere? “Non quella diretta e frontale, che insulta spudoratamente. La ritengo controproducente […] Non si trattano con la satira problemi delicati che riguardano la giustizia e le sorti del paese. Noi comici non siamo educatori”» (Rossini). 
Donne «“Mi ha rovinato il film La seconda notte di nozze, dove mi innamoravo di una donna non più giovane. Questa cosa ha scatenato strane speranze in signore di una certa età. […]” E a lei piacciono le donne? “Un bel po’”. Parte anatomica preferita? “Il seno”. È della scuola “sotto la terza non è amore”? “Va bene anche una seconda, è la forma che mi interessa”. Parte invisibile preferita? “L’ironia”» (Berbenni).
Gola «Lei beve volentieri? Rossi fermi. Ma non esagero”. Buona forchetta? “Tagliatelle al ragù, costine di maiale, coniglio freddo con sedano e olive della mia mamma. Divento pazzo per il risotto alla milanese, sono anche bravino a farlo, ho un pusher di zafferano abruzzese”» (Berbenni) • Ha scritto Lenticchie alla julienne, un libro di ricette di questo tipo: «Gabbiano in crosta — ingredienti: un gabbiano sterile dell’Aventino; 680 lenticchie opache di Colle Val Susa di Val d’Elsa di Norcia; una bustina di tabacco aromatizzato al cardo essiccato in una malga trentina. Preparazione: Costringete con grazia il gabbiano a fumare il tabacco aromatizzato, ricordandogli che comunque la vita media di un gabbiano metropolitano non può superare i tre anni» oppure «Paté d’animo — con l’aiuto di una vostra assistente albina, frantumate con la roccia la cipolla nana fino a raggiungere la lacrimazione» o anche «Abbacchio di petali con segatura di patate — ingredienti per 4 deejay vegani» • «Albanese, perché ce l’ha con gli chef? “Sono loro che stanno esagerando. […] Amo la cucina; ma qui siamo arrivati all’allucinazione. Ho scritto una ricetta immaginaria, il “brodo alla griglia”; poi ho scoperto che uno chef l’aveva fatto davvero […] Congela il brodo in recipienti a forma di costata, poi lo squaglia davanti allo sventurato cliente. Un altro ha ideato un’insalata con 94 tipi di fiori — 4 petali per tipo — e l’ha chiamata insalata semplice. Non è più arte; è capriccio, incompetenza, virus”» (a Cazzullo).
Italia «Dalle parti di mio padre, in Sicilia, dicono: “Pe’ mmia cu cc’è?”. In Veneto sento chiedere: “A me che mi vien?” Il concetto è lo stesso» (a Cazzullo, Corriere della Sera 4/7/2011) • «Questo è il Paese più bello del mondo. Il Sud a godere e il Nord a organizzare il godimento» (alla Berbenni) • «Mettiamo a nudo la volgarità generata dall’incontro tra il benessere e l’ignoranza. E riprendiamoci lo spirito popolare che ha fatto grande il nostro Paese»
Giudizi «Non vincerà – forse – mai un Oscar, non verrà interpellato sotto elezioni, Spielberg non lo inviterà a cena. Forse. Ma è il nostro eroe, e uno spietato cronista del paese in cui vive» (Guia Soncini, Il Foglio, 1/12/2001)«È il più originale comico della sua generazione: fa ridere. Con il corpo, senza preavviso, da anarchico. Ha la qualità del comico, il coraggio fisico prima che intellettuale» (Maltese).
Curiosità Ha doppiato il Grande Topo in La Gabbianella e il Gatto • «La religione mi interessa. Rispetto il mondo dell’associazionismo, degli oratori. Ci sono passato. Qualche dubbio non guasterebbe. Io ho letto il preticello di Caproni: “So che anche voi non credete a Dio, nemmeno io, per questo mi sono fatto prete”» (a Pagani e Travaglio) • Ha un terreno in Toscana, ci ha piantato quaranta ulivi e ha dato a ciascuno il nome di un amico: «C’è l’ulivo Michele, l’ulivo Andrea... fanno un buon olio» (alla Rossini) • Michele è Michele Serra, i due hanno lavorato assieme • Gli piacciono la pittura e la pesca • Non gli piacciono i social network: «“Se si ride meno è anche colpa di questi Facebook e Twitter”. E perché? “I social sono un virus che si è insinuato, anche nell’informazione: si prende sul serio tutto, ogni cazzata. C’è chi twitta per commentare negativamente quello che sta vedendo alla tv: ma allora esci, vai a berti una birra, dico io. E invece no, i social ti inducono a cercare nel mondo più malinconia di quanta nei hai tu. Altro che risate”» (Anna Bandettini, la Repubblica, 5/3/2018) • Qualunquemente ha incassato più di Notte prima degli esami • Nel 2011 a Oria, un paesone da 15mila abitanti in provincia di Brindisi, il poliziotto in pensione Francesco Arpa si candidò a sindaco con la lista Persone Indipendenti Libere Unite: in sintesi, P.I.L.U. Il suo slogan era: «Ti piace il P. I. L. U.? Dimostralo: vota Arpa sindaco!» (Gian Antonio Stella, Corriere della Sera, 10/05/2011). Ottenne 288 voti • «Amo tutti i miei personaggi, li trovo ancora attuali. Quello a cui sono meno affezionato è il telecronista sportivo Frengo. Sarà perché è nato in tv, e non vive di vita propria, sarà perché io sto al calcio come Roberto Formigoni sta al Kamasutra» • «Grillo è un suo collega. L’Italia è l’unico Paese al mondo dove il primo partito è fondato da un comico. “Anche il nostro penultimo Oscar e il nostro ultimo Nobel sono comici. Non lo trova meraviglioso? Un popolo ironico è indistruttibile”» (a Cazzullo).