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 2019  ottobre 08 Martedì calendario

In Sardegna il primato di suicidi

Il primo fu John Grant, commerciante di Londra. Nel 1662, pubblicò un libretto sulle cause di morte nella sua città: i dati erano organizzati in tabelle che riportavano i tassi di mortalità per causa, a beneficio di medici, commercianti e governanti. Quattrocento anni dopo, i metodi per classificare il fenomeno suicidario sono divenuti sempre più sofisticati, ma con standard di rilevazione – nei Paesi dove esistono – non uniformi. Il suicidio viene poi spesso archiviato come decesso di altro tipo: per evitare lo stigma alla famiglia, per “rispetto” alla memoria, per quello che certifica il medico legale. Ergo, i numeri sono sottostimati. Eppure l’Oms sottolinea da tempo la necessità di dati affidabili, anche sui tentativi di suicidio: almeno 10 volte tanti quelli riusciti. Ma in Italia questa informazione non esiste (del resto, il nostro Paese non è tra i 38 che hanno attivato un piano nazionale di prevenzione del suicidio). Le informazioni che abbiamo provengono così da: accessi al Pronto soccorso, schede di dimissione ospedaliera e dati sulla mortalità Istat. Manca quindi un quadro aggiornato e completo.
Dati generali. Il suicidio è indubbiamente un fenomeno connesso alla salute mentale della popolazione, ma può anche essere letto come un indicatore di “disagio” e di debole coesione ed integrazione sociale. I principali fattori di rischio documentati nell’ideazione suicidaria sono rappresentati dal genere maschile(78% dei suicidi sono uomini), dall’età anziana (cresce all’aumentare dell’età, specie dopo i 55-65 anni), dalla presenza di un disturbo psichiatrico e dall’abuso di sostanze, e in particolare di alcol (nei Paesi dove sono state istituite leggi che bloccano o riducono fortemente il consumo di alcol, i tassi di suicidio si sono ridotti notevolmente). Fattori di tipo culturale, ambientale e socio-demografico possono poi giocare un ruolo nel determinare la variabilità dei tassi di suicidio. Come anche la presenza – e l’efficienza – di servizi territoriali di assistenza. Nella nostra prima puntata di Sherlock, abbiamo raccontato, grazie al prof. Maurizio Pompili, come giochino un ruolo anche i “fattori di vulnerabilità a breve termine”, che assumono un’importanza cruciale quando si inscrivono in un “terreno fertile”, in grado di lasciare crescere un dolore dilagante e via via più difficile da contenere. Perdita del lavoro, trappole emotive, improvvisi problemi abitativi o legali, per citare quelli più comuni. Senza un evento profondamente traumatico, in alcuni casi il suicidio non si sarebbe mai verificato.
Italia. Ci sono circa 4.000 morti per suicidio ogni anno. Livelli particolarmente elevati di mortalità per suicidio si osservano nelle province del Nord-Est e in quelle dell’arco alpino, mentre nelle regioni del Sud i dati sono più bassi (anche grazie alla tenuta di un forte tessuto relazionale). La Sardegna rappresenta un’eccezione: assieme a Valle d’Aosta e Provincia autonoma di Bolzano detiene il primato. In generale, le ultime stime disponibili rilevano un aumento dei suicidi rispetto alla metà del primo decennio del 2000. Una situazione che si è poi stabilizzata: rispetto al biennio 2012-2013, per gli uomini il tasso di mortalità per suicidio resta stabile tra gli anziani, ma si riduce tra i 35-64 anni (riavvicinandosi ai livelli del 2006-2007, precedenti alla crisi economica del 2008). Per le donne, la riduzione del tasso interessa dai 65 anni in su. Secondo l’analisi di questi indicatori socioeconomici, il suicidio è quindi più frequente dove ci sono più occupati. Il suicidio negli adolescenti è invece negli ultimi decenni sensibilmente aumentato, specie nei ragazzi.
Mondo. I suicidi, dati Oms, sono circa 800.000. Il 60% avviene in Asia, in particolare in Cina, India e Giappone, dove, a causa della numerosità delle popolazioni avvengono circa 4 suicidi su 10 (da tenere presente, però, che per molti Stati dell’Africa e per alcuni del Sud-Est asiatico i dati non sono disponibili).