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 2019  ottobre 08 Martedì calendario

Com’è subdola la celiachia

Non si sa ancora perché. Ma quello che è ormai pressoché inconfutabile è che la celiachia è in aumento.
La stima, secondo la quale ne soffrirebbe l’1% della popolazione - e, dunque, all’incirca 600mila persone soltantoo in Italia - è con ogni probabilità una cifra da rivedere. Al rialzo. Sarebbero un milione i connazionali non più nelle condizioni di consumare pietanze realizzate con cereali contenenti glutine: è questo il tipico «innesco» della malattia, in organismi geneticamente predisposti.
L’aumento, a differenza di quanto è stato considerato finora, non sarebbe da ascrivere esclusivamente a un miglioramento delle capacità diagnostiche. Ma a un reale aumento della diffusione della celiachia, peraltro difficile da circoscrivere, dal momento che non si è ancora venuti ancora a capo del possibile ventaglio di cause.
Alle radici dell’aumento. A lasciare intendere che i numeri della malattia nel nostro Paese potrebbero essere più alti del previsto è uno studio pubblicato sulla rivista «Clinical Gastroenterology and Hepatology», condotto nelle province di Ancona e di Verona su una popolazione di 4570 scolari (tra i 5 e gli 11 anni) e presentato nel corso dell’ultimo convegno dell’Associazione Italiana Celiachia. Sottoponendo gli scolari a un doppio «screening» (predisposizione genetica e presenza di anticorpi specifici della celiachia) e, in caso di positività, a una visita obiettiva e a una biopsia intestinale, i ricercatori sono arrivati a determinare il numero dei celiaci: 54, vale a dire l’1.58% dei bambini e dei ragazzi coinvolti nello studio. Un dato quasi doppio (0.86%) rispetto a quello rilevato in una precedente indagine condotta nelle stesse province tra il 1993 e il 1995.
«Fino a poco tempo fa ritenevamo che la prevalenza della celiachia fosse in aumento soltanto per la nostra migliore capacità diagnostica, ma a fronte di un così rapido incremento dei casi occorre pensare anche al coinvolgimento di fattori ambientali prima poco considerati», afferma Marco Silano, direttore dell’unità operativa alimentazione, nutrizione e salute dell’Istituto Superiore Sanità. Sono diverse le ipotesi al vaglio: da alcune infezioni virali all’eccessivo impiego di antibiotici nel corso dell’infanzia, dall’utilizzo dell’enzima transglutaminasi (di origine batterica, ma di fatto analogo di quello che avvia i processi di autoimmunità nella celiachia) nei cibi pronti fino al consumo eccessivo di glutine nel corso dello svezzamento. 
Una malattia subdola. L’età media in cui la celiachia si manifesta sta aumentando. Così come stanno cambiando anche le modalità cliniche con cui si presenta. I pazienti con sintomi classici, come la diarrea, sono pochi rispetto a coloro che si presentano con un pannello variegato di possibili campanelli d’allarme: dai sintomi dell’osteoporosi all’anemia, dalla subfertilità alla sindrome del colon irritabile, dalle afte in bocca alle alterazioni del ciclo mestruale (2 malati su 3 sono donne). I celiaci riconosciuti in Italia sono poco più di 200mila: un terzo rispetto alla vecchia stima.
Di conseguenza il sospetto che la base dell’«iceberg» sia più ampia rispetto a quanto considerato finora è piuttosto fondato. Perciò - ribadisce Silano, che coordina il «board» scientifico dell’Associazione Italiana Celiachia - «dobbiamo impegnarci per far conoscere i segni meno scontati della celiachia». Un messaggio che, più che ai pazienti, punta ad arrivare a tutti i camici bianchi che potrebbero intercettarli: pediatri, medici di medicina generale, dentisti, ginecologi, ortopedici e anche ematologi. «L’ideale sarebbe andare a cercare attivamente i pazienti nelle categorie a rischio, per esempio tra coloro che sono ricoverati nei reparti di ostetricia, pediatria e medicina interna. Oppure sottoponendo ai test le donne che, pur provandoci, non riescono ad avere figli».
Lo «screening» di massa, però, non è al momento raccomandato dagli specialisti. Le ragioni sono due: il disturbo può comparire a qualsiasi età e, al momento, manca un esame così specifico da essere riconosciuto idoneo a riconoscere la celiachia sull’intera popolazione.