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 2019  ottobre 08 Martedì calendario

La crisi delle cipolle in India

Difficile essere una potenza politica quando buona parte della popolazione è molto povera. È vero per la Cina, dove la differenza di reddito tra città e campagne è ancora ampia. E in questi giorni è visibilmente vero in India. Il governo del primo ministro Narendra Modi ha vietato l’esportazione di cipolle: tutte, di ogni genere e qualità.
È che nel Paese c’è una penuria del vegetale dopo che un periodo di siccità seguito da uno di abbondanti piogge monsoniche hanno decimato i raccolti. La scarsità ha provocato un’impennata dei prezzi del 200 per cento, dalle 25 rupie al chilo (30 centesimi di euro) in agosto alle 75 di fine settembre. Il problema è sociale: la cipolla è un ingrediente essenziale nella cucina indiana, al pari delle spezie.
È una base di ogni curry, è consumata in grandi quantità e spesso è cibo di ultima istanza. A Mumbai, per dire, in certi periodi è difficile trovare buona verdura a prezzi abbordabili per i più poveri: in quei momenti, non è strano trovare famiglie che mangiano pane e cipolle. Il loro prezzo, dunque, è rilevante per moltissimi. D’altra parte, però, la loro produzione e il loro prezzo sono vitali per molti coltivatori. Il problema diventa dunque anche politico. All’interno perché pone al governo il dilemma se favorire i contadini, e quindi un prezzo alto, o i consumatori, e quindi un prezzo basso.
All’estero perché il divieto di esportazione colpisce i Paesi vicini che hanno diete simili e importano il vegetale dall’India: il blocco dell’export deciso da Delhi colpisce Paesi come il Bangladesh (a Dacca il prezzo è balzato del 700 per cento) e il Nepal (dove le cipolle cinesi non piacciono) ma anche gli Stati del Golfo Persico. E segnala nella regione che la potente India soffre ancora oggi della sindrome delle cipolle.
Modi è ovviamente in imbarazzo. La stagione delle feste indù si sta avvicinando e senza le cipolle che entrano nei curry sarebbe ben triste, senza gusto. Dovendo scegliere tra i produttori e i consumatori ha quindi scelto questi ultimi, che sono quasi tutta l’India mentre i contadini che raccolgono i tuberi molti meno. Così ha bloccato l’export per fare scendere i prezzi all’interno del Paese.
I produttori, però, protestano, bloccano le aste di cipolle e occupano le strade: sostengono che l’impennata del prezzo è data dallo scarso raccolto, farlo scendere artificialmente li penalizza (in effetti i prezzi stanno iniziando a calare attorno alle 50 rupie per chilo). Il fatto è che in campagna elettorale Modi aveva promesso ai contadini che il loro reddito sarebbe stato la sua «Top priority», dove Top, nella propaganda del governo, sta per Tomato, Onion, Potato (pomodoro, cipolla, patata): gli indiani adorano gli acronimi e i giochi di parole.
La questione delle cipolle è storica, se si vuole, sin da quando l’India era sì indipendente ma non ancora avviata a diventare la potenza economica e politica che è oggi. Nel 1980, Indira Gandhi vinse le elezioni conducendo una campagna elettorale contro il governo in carica, accusato tra l’altro di avere fatto esplodere il prezzo delle cipolle, che diventò il simbolo della malapolitica del momento. Una ventina di anni fa, il partito oggi guidato da Modi, il Bjp, fu spinto a dimettersi proprio a causa del Great Onion Disaster. Il primo ministro questa volta non si dimetterà: ha stravinto le elezioni a maggio e ha rafforzato il consenso interno in agosto quando ha tolto l’autonomia al Kashmir e ha riportato lo Stato sotto la piena autorità di Delhi.
La crisi delle cipolle, però, segnala che è l’economia il problema maggiore del Paese. La crescita è in netto rallentamento: al 5 per cento nel trimestre aprile–giugno di quest’anno, colpita dal crollo della produzione in alcuni settori, innanzitutto quello dell’auto, e dalle difficoltà delle banche. E i posti di lavoro creati sono molti meno degli otto milioni che servono ogni anno (secondo la Banca mondiale) per rispondere alla domanda di giovani che entrano nel mercato del lavoro.
Dall’inizio degli Anni Novanta, l’India ha fatto enormi passi avanti, economici e sociali. Rimane però la contraddizione di dovere agire da grande potenza quando il popolo mangia cipolle.