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 2019  ottobre 08 Martedì calendario

Siria: Da Putin all’Isis, le forze in campo

Il dossier finale è stato pubblicato nel giorno sbagliato. In quello stesso 24 settembre Nancy Pelosi annuncia la decisione di voler dare il via all’inchiesta per l ’impeachment contro il presidente Donald Trump e cattura tutta l’attenzione di deputati e senatori. Eppure il lavoro dei dodici esperti del Syria Study Group – nominati dal Congresso – disegna la mappa della situazione nel Paese travolto da quasi 9 anni di guerra e delinea quella che dovrebbe essere la strategia americana. Con un avvertimento iniziale: «Molti credono che il conflitto stia scemando, è un errore di sottovalutazione. Il caos resta pericoloso». La minacciata invasione turca lo conferma: le forze dispiegate in Siria si preparano ad aprire nuovi fronti e a chiudere vecchie possibilità di intesa pacifica.
I curdiGli uomini e le donne delle Unità di protezione del popolo (Ypg) rappresentano il cuore armato delle Forze democratiche siriane, la coalizione assemblata dagli americani. Comprende attorno ai 60 mila combattenti, anche siriani arabi che faticano ad accettare il ruolo dominante dei curdi. Controllano un terzo del Paese e fino ad ora le truppe di Bashar Assad hanno evitato di affrontarle: una non belligeranza reciproca che potrebbe finire quando il regime deciderà di volersi riprendere queste aree ricche di petrolio. Il rapporto avverte: «Le forze curde devono evolvere per assicurare la stabilità in questi territori, le tribù arabe mal sopportano il loro potere».
I turchiIl presidente Recep Tayyip Erdogan collabora con i russi e gli iraniani – gli sponsor che hanno permesso ad Assad di restare al potere – per formulare un’uscita dal conflitto. Ancora prima della minacciata invasione, l’esercito turco si è assicurato il controllo sulla zona di Afrin e sulle terre catturate con l’operazione Scudo dell’Eufrate. Anche in questo caso pezzi che il governo siriano rivorrà indietro.
Il regime siriano«Assad non ha vinto la guerra. Ha riconquistato il 60 per cento del territorio ma il suo dominio fuori da Damasco è fragile, anche perché impone punizioni contro la popolazione: i giovani sono arruolati a forza, continuano gli arresti arbitrari, le torture e le esecuzioni». Da mesi il regime ha intensificato l’offensiva per riprendersi la provincia di Idlib, dove sono concentrati i ribelli. Per ora con l’assistenza letale dei jet russi: «L’esercito di Assad ha dimostrato di non essere in grado di ricatturare i territori senza l’aiuto delle forze iraniane (milizie fedeli a Teheran come l’Hezbollah libanese, ndr)».
I ribelliI gruppi fondamentalisti sono diventati dominanti nella provincia di Idlib: combattono gli altri rivoltosi siriani, che cercano di resistere e sperano così di poter avere ancora un ruolo politico nelle eventuali trattative di pace con il regime. Gli estremisti impongono la legge islamica alla popolazione già devastata dai bombardamenti russi. In queste zone al confine con la Turchia si sono ammassati i civili in fuga dalle altre province tornate sotto Assad.
I russi e gli iranianiA parte l’obiettivo – per ora raggiunto – di evitare la caduta del dittatore, Putin e gli ayatollah hanno strategie diverse. Il Cremlino permette i raid israeliani contro le milizie e le basi filo-iraniane in Siria perché – come ha ribadito un portavoce – «quando il regime avrà ripreso il controllo totale, queste truppe straniere devono lasciare il Paese». L’Iran punta invece – spiega il Syria Study Group – a esercitare un’influenza di lungo periodo: arroccarsi militarmente e sfruttare i benefici economici della ricostruzione. Putin ha già ottenuto quello che voleva: riportare Mosca al centro dei giochi mediorientali.
Lo Stato islamico«Accasciato ma non sconfitto, sta già risorgendo». Il gruppo si riorganizza nel campo di Al Hol dove i curdi hanno ammassato nelle tende 70 mila persone, soprattutto i famigliari degli estremisti. I curdi tengono imprigionati anche 10 mila miliziani, tra loro 2 mila stranieri.