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 2019  ottobre 08 Martedì calendario

Intervista a Daria Bignardi

Le parole che Daria Bignardi usa di più, a dispetto dei tempi incerti che stiamo vivendo, sono "fiducia" e "speranza". «Fiducia nelle giovani donne che stanno cambiando la storia, fiducia nei ragazzi che s’impegnano nella società, che guardano avanti, e sono pieni di idee». A quattro anni e mezzo dalle Invasioni barbariche , la scrittrice conduttrice torna in tv con L’assedio, dal 16 ottobre sul Nove. «Gli ultimi due anni sono stata un po’ fuori dal mondo ma nel mio mondo, ho portato a teatro La coscienza dell’ansia, Svevo e Vittorini, adesso mi immergo di nuovo nella realtà e mi sembra bellissimo» dice Bignardi, 58 anni, signora della tv con una carriera variegata, pioniera conduttrice del primo Grande fratello (2000) e per un anno e mezzo, dal 2016, direttrice di Rai 3.
Perché ha scelto come titolo "L’assedio"?
«L’assedio è uno stato d’animo che ha a che fare con l’ansia, sensazione diffusa. Abbiamo scelto il titolo di un film di Bernardo Bertolucci che ci piaceva. L’assedio parla di noi e sappiamo che condividere riduce l’ansia. L’ansia buona è uno stimolo, io sono curiosa, e la curiosità è tutto».
Com’è lo studio?
«L’ha disegnato Francesca Montinaro che ha fatto per undici anni le scene delle Invasioni barbariche, ha una pianta circolare e c’è l’idea di un segno forte, una grande bandiera. La sigla di Gipi era difficile da superare, quella nuova è di Zuzu (vero nome Giulia Spagnulo, ndr), una ragazza di 23 anni. È bravissima, avevo visto le sue tavole. Poi ho trovato una frase di Gipi: "Vedere il lavoro di Zuzu mi fa ricordare di essere vivo", questo è quello che senti quando lavori coi giovani. Non so se sia una mia sensazione, ma è un momento storico di trasformazioni gigantesche, che è bello e importante raccontare».
Com’è cambiata la tv?
«Sono una pessima teorica, ma la tv è una cosa viva. Entra nelle case di tutti, viene moltiplicata e spezzettata, adesso si rivede più che vederla. Continua a essere un mezzo molto democratico, il bello della generalista è che arriva a tutti e devi cercare un linguaggio che diverta tutti. È una responsabilità che in redazione sentiamo: discutiamo per ore di ogni dettaglio».
Ci anticipa un ospite della prima puntata?
«Giorgia Linardi portavoce di Sea Watch, perché rappresenta le giovani donne che s’impegnano e stanno cambiando questo paese. È stata molto criticata, ha visto cose terribili e non ha sempre ha avuto l’occasione di raccontarle. Da quando sto lavorando al programma la cosa più bella è stata reinserirmi nella realtà: ho trovato un mondo dove le donne sono più protagoniste — penso a Greta Thunberg, a Carola Rackete — e i giovani scendono in piazza. Sento una grande energia».
Le è mancato il video?
«Mi è mancata la squadra, scrivere è un lavoro solitario. Ho rimesso insieme il mio gruppo storico delle Invasioni barbariche insieme a diversi giovani. Lavorare con loro induce ottimismo».
Chi fa tv coltiva il narcisismo?
«Ho un quintale di difetti, ma quello non ce l’ho. Posso essere egocentrica non narcisista, la popolarità non mi mancava. Questo non vuol dire che l’immagine non conti. Non sono particolarmente sicura di me, scelgo le foto in cui sono venuta bene. In tv la prima cosa che noti è l’aspetto fisico, arriva subito la tua faccia. Ci penso... Poi quando comincio me ne dimentico. Non mi riguardo mai».
Ha condotto il primo "Grande fratello", oggi nei reality è cambiato tutto: che effetto le fa?
«Abbiamo celebrato i vent’anni del GF. Eravamo inconsapevoli delle conseguenze e delle potenzialità. I ragazzi erano ignari. Fu un esperimento, non avevamo idea di cosa sarebbe potuto essere. Il linguaggio della realtà era ancora potentissimo, oggi vincono le storie di Instagram più della tv, sono la tv. O un grande racconto. E i concorrenti dei reality sono più consapevoli».
I social invadono la privacy, gli hater li usano come armi, specie contro le donne. Anche lei ne ha fatto le spese.
«I social in sé sono solo mezzi, se hai visibilità è impossibile ripararsi dalle critiche, fa parte del gioco ma non fa piacere. Gli hater sono persone che non ci conoscono, a me dispiace per loro. L’ho pensato quando ho avuto problemi di salute, quando avevo i capelli corti e non li potevo tingere. Mi dispiaceva che scrivessero quelle cose: il motivo per cui portavo i capelli corti lo sapevo e non avevo voglia di condividerlo».
Ospiterà i politici?
«Qualcuno ci sarà, ma è un momento in cui non vedo protagonisti che abbiano aspetti narrativi particolarmente interessanti. Ma inviterò anche persone non famose».
Com’è il suo ricordo della Rai?
«L’esperienza umana è stata ottima, ho incontrato persone con cui si è creato un rapporto di amicizia, con cui ho lavorato benissimo. Penso all’attuale direttore di Rai 3 Stefano Coletta. Sicuramente ho problemi con un sistema manageriale, ho trovato faticose regole e dinamiche.
Ma ho bei ricordi».
Ha detto a "Vanity Fair": "Faccio tutto quel che devo e che posso, do tutto, poi volto pagina". È la sua regola di vita?
«Sul lavoro sicuramente sì, non ho rimpianti. Non avrei potuto fare meglio di quello che ho fatto. Nella vita privata è tutto diverso».