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 2019  settembre 20 Venerdì calendario

Intervista a Tracey Emin

L’ultima volta che ho presentato una mostra in Italia, l’Europa era un posto più felice ». Tracey Emin è tornata. L’ex cattiva ragazza dell’arte britannica — quella di My Bed , il letto sfatto con preservativi e altri resti di una notte brava, ormai diventato un classico esposto alla Tate — controlla i suoi nuovi dipinti appena installati alla galleria Lorcan O’Neill di Roma ( Leaving , da domani al 23 novembre). Alle pareti ci sono per lo più tele con corpi femminili nudi — possibili autoritratti — sangue e sesso, poesie disperate che fanno da cornice alle figure. I’m The Last of My Kind , recita il titolo di una: sono l’ultima della mia specie. Emin, nata nel 1963, appartiene alla specie rara delle donne affermate e super quotate nel mercato dell’arte (un quadro di media grandezza si aggira intorno ai 400 mila dollari). In questo momento, i suoi disegni sono al d’Orsay di Parigi accanto agli impressionisti, nel 2020 volerà a Oslo fianco a fianco a Edvard Munch e la aspetta di nuovo la Royal Academy di Londra. È vestita con felpa e cappuccio su maglietta e pantaloncini verde militare, «la mia divisa», e dice: «È assurdo: nel momento in cui in Europa va tutto così male, il mio lavoro procede benissimo».
Togliamoci subito il pensiero sulla Brexit, allora. Durante il mandato di David Cameron, lei donò un suo neon con la scritta "More Passion" alla collezione del governo. Che fine ha fatto l’opera con l’arrivo di Boris Johnson?
«È ancora a Downing Street, per quanto ne so. L’ho regalata alla Government Art Collection perché il governo non ha mai soldi per comprare opere nuove da esporre negli spazi pubblici. Il punto è che Boris Johnson apprezza la mia arte».
Johnson apprezza la sua arte e lei lo apprezza come politico?
«Come sindaco di Londra sì. Ma governare la Gran Bretagna è un altro paio di maniche. Credo ancora nella democrazia. Detesto questa destra egocentrica, incapace di progettare il futuro. I problemi si combattono restando in Europa».
La politica non sembra entrare nella sua arte. Ci sono corpi femminili, riferimenti alla violenza, al sesso. Le sue sono sempre opere autobiografiche?
«Assolutamente no. La mia opera non è illustrativa della mia vita.
Nessuno lo direbbe per Van Gogh, Munch, Cézanne… Il punto di vista sull’arte delle donne rischia di essere sessista. Sembra sempre che debbano raccontarsi nel dettaglio».
La Biennale di Venezia ancora in corso presenta per la prima volta in mostra più donne che uomini. Non pensa che le cose siano cambiate?
«Certo, ora c’è più spazio per le donne, per gli artisti neri e per le altre minoranze. Ma che cosa vuole che sia quello che accade negli ultimissimi anni rispetto a secoli di invisibilità?».
Si considera una femminista?
«Devo esserlo. Ma con le azioni. Ho sempre fatto cose solitamente proibite o considerate disdicevoli per le donne. Non sto in poltrona a leggere Il racconto dell’Ancella . Più che altro, mi sento un personaggio di Margaret Atwood. Non ho avuto figli e non ho un partner. Se stessi con un uomo e avessi una famiglia, non sarei l’artista che sono. Ce lo vede Picasso che dipinge cambiando pannolini?».
I media britannici riportano che lei, l’artista di "My Bed", non ha rapporti sessuali da dieci anni.
«Mi hanno estorto una confessione emersa durante un pranzo privato.
Ma è così. La castità è una scelta: è ben diverso dal non avere rapporti sessuali. Si tratta di una condotta di vita. Ho un gatto di diciannove anni, lo amo e va bene così».
Crede che gli uomini siano spaventati da lei?
«La gente in generale è spaventata da me perché non rappresento esattamente il modello di donna gentile ed educata allo scopo di rendere felici gli altri».
La storia dell’arte è piena di personaggi insopportabili. Lucian Freud non era esattamente il migliore amico di tutti.
«A Lucian piacevo molto. E che dire di Pollock, di de Kooning… tutti pessimi caratteri, ma erano uomini».
È vero che ha sposato… una pietra?
«Sì ( ride ). Quattro anni fa, d’estate, ero nella mia casa nel sud della Francia, dove mi rintano da sola nella natura. Ho trovato un anello e l’ho messo all’anulare sinistro. L’unica cosa da fare allora era gettarlo via o andarmi subito a sposare. Sono corsa in giardino a promettere eterno amore a un bellissimo monolite. In fondo, credo davvero nel matrimonio: solo con una pietra può essere per sempre. A volte mi sento una creatura aliena lontana milioni di chilometri da casa».
Che cosa farà a Oslo la prossima primavera al nuovo Museo Munch?
«Realizzerò il sogno di una vita: esporre accanto al mio eroe assoluto.
Mi sono sempre sentita così vicina alla sua arte. Che cos’è My Bed , con le sue lenzuola stropicciate, se non un’opera espressionista?».
"My Bed" ha appena compiuto vent’anni. Che effetto le fa rivedere oggi quel letto alla Tate?
«Sembra una scena del crimine alla
Csi con il microclima giusto perché nulla si guasti. Che dire? Ha vent’anni: è archeologia».
Da poco ha scelto di tornare a Margate, la città sul mare a sud di Londra, da cui scappò adolescente.
«È cambiato tutto quando è morta mia madre, nel 2016. Ho rivisto quella luce, le nuvole, il mare, le stesse cose che vedeva Turner, che è stato un illustre cittadino di Margate. A Londra non c’è più energia per gli artisti e i creativi in genere».
Margate è legata a episodi dolorosi del suo passato, come la violenza subita. Su "I’m The Last of My Kind", una delle tele esposte qui a Roma, lei scrive di quella "ragazzina costretta crescere troppo in fretta". Come ripensa a quella ragazzina?
«Sono convinta che noi viviamo contemporaneamente la nostra vita qui e ora, a più livelli e a più età. A volte, se mi alzo la notte, mi capita di vedere il mio doppio seduto sulla sedia. A Venezia, sono sicura di avere incontrato me stessa da anziana.
Quella ragazzina cresciuta troppo in fretta, invece, è davvero un fantasma, ormai. Quando vado a Margate, la cerco, ma mi rendo conto che è andata via. Definitivamente».